Le Noterelle Operative Novembre 2024

Le Noterelle Operative Novembre 2024

NOVEMBRE 2024

1) E-mail aziendali e privacy: cosa cambia per i datori di lavoro con il provvedimento n. 472/2024.
A cura di Paolo de Berardinis e Silvia Laurora

Il provvedimento del Garante per la Protezione dei Dati Personali n. 472 del 17 luglio 2024 ha introdotto rilevanti novità circa l’accesso alle e-mail aziendali dei dipendenti e collaboratori, con implicazioni rilevanti per la gestione della privacy in ambito lavorativo. In questo contesto, il Garante ha affrontato un caso di presunta violazione della normativa sulla protezione dei dati personali da parte di un’azienda, quest’ultima aveva incaricato uno studio di ingegneria forense affinché eseguisse indagini sui contenuti della posta elettronica di un ex collaboratore ritenendo la sua infedeltà.
L’indagine ha evidenziato che l’azienda aveva mantenuto attivo l’account di posta del collaboratore anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro ed aveva analizzato il contenuto delle comunicazioni attraverso un software, il tutto per finalità di propria tutela legale. Il Garante ha ritenuto tali comportamenti non conformi alla normativa vigente in quanto posti in violazione dei principi di liceità, minimizzazione e trasparenza nel trattamento dei dati personali dei lavoratori.
In particolare, l’attività istruttoria ha permesso di individuare quelle che sono state ritenute delle irregolarità. E così, l’informativa fornita ai dipendenti risultava inadeguata e incompleta, mancando di chiarire dettagliatamente le modalità e le finalità del trattamento dei dati, nonché i tempi di conservazione delle e-mail e dei log di accesso ai sistemi aziendali. Secondo il Garante, la mancanza di trasparenza nell’informativa costituisce una violazione del principio di correttezza e di completezza richiesto dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR). La normativa, infatti, impone al titolare del trattamento di assicurare che le operazioni sui data siano esplicitamente illustrate e che i lavoratori siano resi edotti delle finalità, modalità e durata della conservazione dei loro dati, specialmente quando queste operazioni riguardano attività di controllo potenzialmente invasive.
Ulteriormente, il Garante ha contestato la scelta dell’azienda di conservare una copia delle e-mail attraverso il software “Mail Store” per un periodo esteso di tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. Tale pratica, giustificata dall’azienda per ragioni di sicurezza e continuità aziendale, è stata giudicata non proporzionata rispetto alle finalità dichiarate. In generale, il principio di minimizzazione dei dati richiede che i dati personali siano trattati solo per il tempo strettamente necessario, e la conservazione protratta delle e-mail, specie se personali, è permessa soltanto in casi di effettiva necessità e con adeguate misure di sicurezza e protezione della privacy. In questo caso, la durata di conservazione dei dati e delle comunicazioni, nonché l’utilizzo del software per il monitoraggio delle e-mail dei lavoratori, ha indotto il Garante a considerare l’attività dell’azienda come una forma di controllo non autorizzato sulle attività dei dipendenti, in violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e dell’art. 114 del Codice Privacy.
Una parte cruciale del provvedimento riguarda l’uso di un software (nel caso di specie “Mail Store”) per effettuare backup automatici e sistematici delle e-mail dei lavoratori. Il Garante ha ribadito che l’adozione di simili strumenti deve essere subordinata a una valutazione attenta e proporzionata alle reali esigenze aziendali, che tenga conto dei diritti alla riservatezza dei lavoratori e delle finalità per cui i dati sono trattati. Nel caso specifico, il sistema impiegato permetteva alla società non solo di conservare, ma anche di accedere e analizzare nel dettaglio il contenuto delle e-mail aziendali, sia in corso di rapporto di lavoro che successivamente. La raccolta e conservazione massiva di dati personali, e in particolare di dati sensibili, pone inoltre un problema di proporzionalità rispetto alla finalità dichiarata di sicurezza, risultando nei fatti in un monitoraggio prolungato e non giustificato.
Il Garante ha sottolineato che i sistemi di posta elettronica non possono sostituire i sistemi di archiviazione documentale, poiché sono pensati per uno scopo di comunicazione e non per la conservazione strutturata di informazioni. Ciò implica che le aziende non possono utilizzare la posta elettronica come strumento per la memorizzazione prolungata dei dati, che dovrebbe invece essere eseguita mediante sistemi sicuri e conformi alle normative sulla gestione documentale. Tale aspetto è particolarmente rilevante per le imprese, che spesso necessitano di mantenere l’accesso a informazioni scambiate via e-mail per motivi di continuità operativa o gestione delle attività lavorative.
Osservazioni operative
Anche in ragione degli spunti che la vicenda offre, e messa in disparte la criticità che il provvedimento genera, vi è che i datori di lavoro dovranno valutare se le proprie pratiche in materia di gestione e accesso alle e-mail aziendali sono o meno conformi alle normative vigenti. Un primo passo potrebbe consistere nella revisione delle informative privacy fornite ai dipendenti, rendendole più complete e specifiche, includendo informazioni dettagliate sulle finalità e modalità di ogni tipo di trattamento, sui tempi di conservazione dei dati e sui diritti dei lavoratori riguardo al trattamento dei loro dati personali. È suggeribile che si adottino livelli diversi di “attenzione” per i vari settori dell’azienda, giustificandosi un controllo più aperto e prolungato per quei comparti che oggettivamente possono presentare livelli di criticità rilevanti.
L’archiviazione e la conservazione dei dati non possono avvenire tramite l’utilizzo improprio delle caselle e-mail, utilizzandole come mezzo di gestione a lungo termine delle informazioni aziendali. In questo senso, è necessario introdurre policy interne che definiscano chiaramente le modalità di gestione delle mail e dei backup, limitando l’accesso e l’utilizzo dei dati – e, se del caso, differenziando le prassi, come detto – a quanto strettamente necessario e documentando accuratamente le operazioni di backup e conservazione.
Una concreta possibilità potrebbe essere quella di distinguere le mail particolarmente rilevanti per l’azienda, “marcandole”, e prevedere un sistema di archiviazione delle stesse eventualmente diverso (anche esportando le stesse su un apposito software) e più duraturo, sempre in conformità alla normativa vigente, ai possibili regolamenti interni e autorizzazioni. Ciò permetterebbe di rendere consapevoli i prestatori della diversa “natura” delle e-mail, ma soprattutto agevolerebbe i datori di lavoro ai fini dell’eventuale successivo accesso alle stesse.
Infine, qualora si rendesse necessario accedere alle e-mail aziendali per motivi di continuità operativa, il datore di lavoro dovrebbe garantire che tale accesso sia regolamentato e limitato ai soli dati realmente utili, predisponendo meccanismi di controllo che assicurino la conformità ai principi di liceità, proporzionalità e gradualità. Ove possibile, i datori di lavoro dovrebbero privilegiare accordi con i rappresentanti dei lavoratori per disciplinare eventuali accessi a sistemi informatici o e-mail, oppure ottenere le autorizzazioni necessarie dagli organi preposti. Questo approccio non solo risponde a un obbligo normativo, ma protegge l’azienda da potenziali contenziosi e dalla irrogazione di sanzioni amministrative.
Quanto sopra suggerito trova oggi, successivamente all’intervento della Corte di Cassazione in materia di prescrizione, una sua ancor più evidente necessità (v. orientamento prevalente in giurisprudenza, cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. Lav., 6 settembre 2022, n. 26246; Cass. Civ., Sez. Lav., 20 ottobre 2022, n. 30957).
Si consideri che l’imprescrittibilità di fatto dei crediti di lavoro, non decorrendo la prescrizione nel corso del rapporto, obbliga alla conservazione di tutti i dati che afferiscono alla vita del prestatore, alle mansioni svolte, agli aumenti retributivi ricevuti, agli assorbimenti del superminimo e via dicendo.
Anche le e-mail, considerato che sono gli strumenti di “colloquio” ed anche di disposizioni che afferiscono al contratto di lavoro, devono essere sempre opportunamente e legittimamente conservate.

2) Il diritto del datore di lavoro di tutelare il patrimonio aziendale: la Corte di Cassazione conferma la legittimità dei sistemi di videosorveglianza per la salvaguardia dei beni e della reputazione dell’impresa (Cass. Civ., Sez. Lav., Ord. 6 settembre 2024, n. 23985).
A cura di Paolo de Berardinis e Anna Saioni

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 23985 del 6 settembre 2024, è nuovamente intervenuta sul tema dell’impiego, da parte dei datori di lavoro, di impianti audiovisivi per il controllo a distanza dei dipendenti, previsto dall’art. 4 L. n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori), come modificato dal D. Lgs. n. 151 del 2015.
In particolare, la decisione in oggetto attiene ad un caso in cui un lavoratore di un’impresa di trasporti marittimi, addetto alla biglietteria, è stato licenziato per aver omesso di restituire ai clienti il resto dovuto, e per non aver registrato i relativi esuberi di cassa. Tale condotta, conoscibile attraverso le riprese del sistema audiovisivo, era stata considerata dal datore di lavoro tale da causare la rottura del legame fiduciario, soprattutto in considerazione delle mansioni svolte dal dipendente comportanti maneggio di denaro.
Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, contestando la legittimità del controllo effettuato mediante videosorveglianza, sostenendo che fosse contrario all’art. 4 cit. ed all’accordo sindacale, che prevedeva la visione delle immagini solo in presenza di reclami dei clienti, in questo caso mancanti.
La Corte d’Appello di Messina, con sentenza n. 162 del 2021, ha riformato la sentenza di primo grado, ritenendo legittimo il licenziamento del dipendente, in quanto le irregolarità di cassa contestate risultavano provate ed idonee a ledere il vincolo fiduciario. La Corte di merito ha altresì accertato la legittimità e la conformità dell’uso delle registrazioni all’accordo sindacale.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha confermato la decisione della Corte d’Appello, respingendo i due motivi del ricorso relativi alla legittimità dell’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza, confermando la loro legittimità, attesa la tutela del patrimonio aziendale, ed ha ritenuto non necessario il reclamo dei clienti per la visione delle riprese.
Il primo punto affrontato dalla Corte riguarda la compatibilità tra l’utilizzo delle immagini tratte dal sistema di videosorveglianza e l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Tale norma consente l’installazione di impianti audiovisivi per finalità organizzative, produttive, per la sicurezza del lavoro e la tutela del patrimonio aziendale, purché sia stipulato un accordo con le organizzazioni sindacali o, in mancanza, sia ottenuta l’autorizzazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Nel caso specifico, l’impianto audiovisivo è stato installato sulla base di un accordo sindacale risalente al 2015, rispettando dunque il dettato normativo, ed il controllo a distanza risultava legittimamente finalizzato alla tutela del patrimonio aziendale.
Dunque per la Corte di legittimità, la tutela del patrimonio aziendale “può riguardare la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro o di danneggiamento o sottrazione di beni, le quali possono provenire anche da dipendenti dell’azienda e che giustificano la medesima protezione rispetto a quella dovuta a fronte di aggressioni esterne, sia dalla lesione all’immagine e al patrimonio reputazionale dell’azienda, non meno rilevanti dell’elemento materiale che compone la medesima (e non può dubitarsi che condotte fraudolente di dipendenti in danno di clienti siano anche idonee a pregiudicare l’immagine di una impresa)”.
Ai sensi dell’art. 4, ultimo comma in commento, tali registrazioni video possono essere utilizzate anche a fini disciplinari, sempre che il lavoratore sia stato preventivamente informato delle modalità d’uso degli strumenti e dei controlli. Su questo punto, la Corte ha rilevato che non vi era stata alcuna contestazione relativa al rispetto di queste condizioni, che afferiscono anch’esse alla legittimità dei controlli.
Relativamente alla seconda questione, il lavoratore ha lamentato l’utilizzo delle registrazioni senza che vi sia stato un reclamo da parte dei clienti, condizione prevista nell’accordo sindacale. La Corte di Cassazione ha rigettato tale lagnanza, chiarendo che l’accordo sindacale non imponeva l’obbligo di un reclamo del cliente per l’utilizzo delle immagini qualora l’obiettivo fosse la tutela del patrimonio aziendale.
Osservazioni operative
In termini operativi la questione suggerisce che:
a) per un uso legittimo dei sistemi di videosorveglianza, il datore di lavoro deve stipulare accordi collettivi specifici e dettagliati con le rappresentanze sindacali, chiarendo le finalità e i limiti di utilizzo degli strumenti di controllo;
b) i dipendenti devono necessariamente essere informati riguardo l’utilizzo degli strumenti di videosorveglianza, le modalità di effettuazione dei controlli, e i tempi di conservazione delle immagini, secondo quanto previsto dall’art. 4 dello Statuto e dal D. Lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali);
c) è fondamentale che l’azienda valuti periodicamente le proprie procedure di videosorveglianza e controllo, e nel caso le aggiorni, in modo da garantirne la conformità sia rispetto alle novità normative che all’evoluzione delle tecnologie utilizzate, avendo anche riguardo alla normativa privacy (GDPR e D. Lgs. n. 196/2003).

3) Fringe benefit: come la Legge di Bilancio 2024 ha ridefinito i vantaggi per i dipendenti e i datori di lavoro.
A cura di Paolo de Berardinis e Silvia Laurora

La Legge di Bilancio 2024 (L. n. 213 del 30.12.2023) ha introdotto importanti novità in tema di fringe benefit, ampliando per il 2024 la soglia di esenzione fiscale e contributiva fino a € 1.000 per la generalità dei lavoratori, mentre detta soglia è pari a € 2.000 per i dipendenti con figli fiscalmente a carico. Tale misura si inserisce in un più ampio contesto di incentivazione dei compensi in natura, che, come disciplinato dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), possono rappresentare una parte significativa della retribuzione accessoria dei lavoratori dipendenti.
I fringe benefit, definiti come compensi in natura, costituiscono una forma di remunerazione non monetaria che il datore di lavoro eroga tramite beni o servizi. Tali benefit sono soggetti a una disciplina fiscale specifica che, in determinati limiti, ne consente l’esenzione totale o parziale da imposte e contributi. Tra i più comuni fringe benefit troviamo i buoni pasto, i buoni carburante, le auto aziendali ad uso promiscuo, gli immobili assegnati ai dipendenti, le agevolazioni finanziarie come i prestiti personali a tassi ridotti.
Secondo l’art. 51 del TUIR, i benefit aziendali devono essere inseriti in busta paga e il loro valore deve essere calcolato secondo il “valore normale”, ossia il prezzo mediamente applicato per lo stesso bene o servizio in condizioni di mercato. Tuttavia, per alcuni benefit, come le auto aziendali, i prestiti e l’alloggio concesso ai dipendenti, il valore da imputare non è quello normale, ma quello convenzionale, stabilito sulla base di tabelle specifiche, come quelle fornite dall’ACI per le autovetture.
In particolare, il regime di tassazione dei fringe benefit segue una logica che premia la moderazione: infatti, per il 2024, l’esenzione fiscale e contributiva è prevista fino a un tetto di € 1.000 per la maggior parte dei lavoratori e di € 2.000 per quelli con figli fiscalmente a carico. Qualora il valore dei benefit superi tali soglie, l’intero importo diventa imponibile, inclusi i primi € 1.000 o 2.000. Questa peculiarità rappresenta una differenza importante rispetto ad altri regimi fiscali in cui solo la parte eccedente la soglia di esenzione viene tassata.
La Legge di bilancio ha inoltre allargato il perimetro dei benefit aziendali, includendo voci come il pagamento dell’affitto e degli interessi sui mutui ipotecari per la prima casa, nonché le somme erogate o rimborsate per le utenze domestiche (gas, energia elettrica, acqua). Tale ampliamento si rivolge non solo ai dipendenti, ma anche ai familiari fiscalmente a carico. Questa misura rappresenta una significativa novità rispetto al passato e offre ai datori di lavoro ulteriori possibilità per agevolare i propri dipendenti, soprattutto in un contesto di aumento dei costi della vita.
Da un punto di vista operativo, i datori di lavoro dovranno acquisire e conservare la documentazione relativa alle spese sostenute dai dipendenti, per poter giustificare le somme rimborsate. In alternativa, il dipendente potrà fornire una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, attestando la detenzione delle ricevute di pagamento delle utenze domestiche. Tuttavia, questa soluzione non esonera il lavoratore dall’obbligo di conservare la documentazione in caso di eventuali controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate. Per i datori di lavoro, sarà quindi necessario predisporre procedure interne per gestire in maniera efficiente la raccolta e l’archiviazione di tali dichiarazioni e della relativa documentazione di supporto.
Una delle voci più ricorrenti all’interno dei fringe benefit è l’assegnazione di auto aziendali a uso promiscuo. In questi casi, il datore di lavoro può decidere di trattenere un importo mensile in busta paga per coprire una parte delle spese legate all’utilizzo del veicolo, come l’assicurazione o la manutenzione. L’importo trattenuto riduce il valore del fringe benefit da considerare ai fini fiscali. Non esistendo una regola univoca per stabilire l’ammontare della trattenuta, questo viene solitamente definito nel regolamento aziendale. La trattenuta deve essere fatturata dall’azienda al dipendente, con l’applicazione dell’IVA, e il reddito imponibile ai fini del calcolo del fringe benefit sarà dato dalla differenza tra il valore convenzionale del veicolo e l’importo trattenuto.
Una distinzione importante va fatta in merito ai buoni pasto. Sebbene spesso rientrino nei pacchetti di benefit aziendali, i buoni pasto sono regolati in maniera autonoma rispetto ai fringe benefit. L’art. 51 del TUIR esclude dal reddito imponibile le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino a un limite giornaliero di € 4, aumentato a € 8 nel caso in cui il buono pasto sia elettronico. Tuttavia, a differenza dei fringe benefit tradizionali, i buoni pasto devono essere concessi unicamente per le giornate effettivamente lavorate e non possono essere considerati fringe benefit aggiuntivi per i giorni non lavorativi. Qualora i buoni pasto vengano concessi anche per giorni di ferie o permessi, il loro valore sarà completamente imponibile ai fini fiscali e contributivi.
Osservazioni operative
Le novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2024 offrono nuove opportunità di erogare compensi in natura senza aggravio fiscale per i dipendenti; è però fondamentale che vengano adottate alcune precauzioni per gestire al meglio questi vantaggi.
Uno dei punti cruciali riguarda il monitoraggio costante delle soglie di esenzione. Ogni datore di lavoro deve prestare attenzione al valore totale dei fringe benefit concessi a ciascun dipendente, specialmente se il lavoratore ha più rapporti di lavoro. Questo controllo è indispensabile per non superare i limiti previsti, poiché, in caso contrario, l’intero importo dei benefit – e non solo la parte eccedente – diventerebbe tassabile.
Un altro aspetto importante riguarda la documentazione relativa alle spese. Nel caso in cui l’azienda decida di rimborsare le spese domestiche del dipendente, come l’affitto o le utenze, è necessario raccogliere e conservare attentamente le ricevute e le fatture corrispondenti. In alternativa, è possibile accettare una dichiarazione sostitutiva in cui il dipendente conferma di essere in possesso della documentazione necessaria, ma questo non lo esonera dall’obbligo di conservarla in caso di controlli fiscali. È quindi consigliabile che l’azienda predisponga un sistema efficiente per gestire la raccolta di queste informazioni.
Infine, va considerato che i benefit possono essere concessi in modo personalizzato, senza l’obbligo di garantire lo stesso trattamento a tutti i dipendenti. Questo dà al datore di lavoro una certa flessibilità nel distribuire i vantaggi in base alle specifiche esigenze dei lavoratori, purché il valore complessivo dei benefit non superi le soglie di esenzione.
In sostanza, un approccio ben organizzato alla gestione dei fringe benefit permette ai datori di lavoro di sfruttare pienamente le opportunità offerte dalla normativa, migliorando così il benessere dei dipendenti senza incorrere in costi aggiuntivi.
In una considerazione prospettica della materia, nasce lo spunto per un coerente utilizzo dei fringe benefits rivolto alla riduzione del costo del lavoro, lato azienda, ed alla massimizzazione del risultato netto, lato lavoratore, ciò che può essere adattato a svariate realtà ed iniziative.

4) Regime sanzionatorio INAIL: modifiche operative da settembre 2024 su omissioni ed evasioni.
A cura di Paolo de Berardinis e Silvia Laurora

Il regime delle sanzioni civili per omissioni ed evasioni contributive ha subito recenti modifiche legislative, destinate a incidere significativamente sui rapporti tra datori di lavoro ed enti previdenziali e assicurativi, in particolare l’INPS e l’INAIL. Con il D.L. n. 19 del 2 marzo 2024, convertito dalla L. n. 56 del 29 aprile 2024, il legislatore ha operato una revisione dell’art.116 della L. n. 388/2000, intervenendo sui commi 8, 10 e 15. Le modifiche introdotte mirano a incentivare una maggiore compliance da parte dei datori di lavoro, premiando chi regolarizza spontaneamente la propria posizione debitoria, con l’obiettivo di favorire un rapporto meno conflittuale e più fluido tra contribuenti ed enti impositori.
Tali novità, operative dal 1° settembre 2024, sono state recepite dall’INAIL nella circolare n. 31 del 10.10.2024, che fornisce una dettagliata disamina del nuovo regime sanzionatorio applicabile alle omissioni ed evasioni contributive. Si tratta di disposizioni che intendono facilitare la sanatoria di irregolarità, soprattutto nei casi in cui il contribuente provveda volontariamente al pagamento dei premi assicurativi prima di essere oggetto di contestazioni o di richieste da parte degli enti preposti. Tuttavia, la normativa mantiene un approccio rigido per le situazioni debitorie rilevate d’ufficio o a seguito di verifiche ispettive.
In primo luogo, la circolare chiarisce il trattamento delle omissioni contributive, che si verificano quando il datore di lavoro non versa o versa in ritardo i contributi o i premi dovuti, ma tali somme sono comunque rilevabili dalle denunce o dalle registrazioni obbligatorie. Dal 01.09.2024, qualora il pagamento dei premi venga effettuato spontaneamente entro 120 giorni dalla scadenza, in un’unica soluzione e senza che vi sia stata alcuna contestazione da parte dell’ente impositore, si applica una sanzione ridotta pari al tasso ufficiale di riferimento (ORP) fissato dalla BCE, senza l’aggiunta della maggiorazione del 5,5%. Questa misura rappresenta un significativo beneficio rispetto al precedente regime, in cui la sanzione civile prevedeva sempre l’applicazione di tale maggiorazione. È importante sottolineare che la sanzione, anche in caso di omissione, non può comunque superare il 40% dell’importo dei premi non versati entro la scadenza prevista.
La circolare dell’INAIL evidenzia anche un aspetto cruciale legato alla rateizzazione dei premi. Sebbene il pagamento debba avvenire in unica soluzione per beneficiare del regime più favorevole, si precisa che le disposizioni vigenti in materia di versamenti permettono comunque al datore di lavoro di frazionare l’importo in quattro rate, da versare entro il 16 febbraio, 16 maggio, 20 agosto e 16 novembre di ogni anno. In tal caso, l’INAIL sembra suggerire che il termine di 120 giorni per il pagamento agevolato si applichi distintamente a ciascuna di queste scadenze rateali, anche se nella circolare non è esplicitato in modo diretto. Ciò consentirebbe ai datori di lavoro di gestire il debito contributivo con maggiore flessibilità.
Oltre alle omissioni, il documento dell’INAIL analizza anche le disposizioni relative all’evasione contributiva, fattispecie che si configura quando il datore di lavoro omette di presentare le denunce obbligatorie, oppure le presenta in modo non conforme al vero, con l’intenzione specifica di occultare rapporti di lavoro, retribuzioni erogate o altri elementi rilevanti ai fini contributivi. In questo contesto, il legislatore ha mantenuto un approccio sanzionatorio severo, prevedendo una sanzione civile pari al 30% dell’importo dei premi non versati, con un tetto massimo del 60% del debito complessivo. Anche in questo caso, tuttavia, sono previste misure premiali per chi regolarizza spontaneamente la propria posizione entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi, a condizione che il versamento avvenga in unica soluzione entro 90 giorni dalla denuncia spontanea. In tali casi, la sanzione applicata è pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 7,5 punti percentuali, anziché del 30%, con un tetto massimo del 40% dell’importo dovuto.
Un ulteriore aspetto trattato dalla circolare riguarda le situazioni debitorie rilevate d’ufficio dagli enti impositori o a seguito di verifiche ispettive. In tali ipotesi, la normativa introduce una sanzione ridotta, pari al 50% di quella ordinariamente prevista per omissione o evasione, a condizione che il pagamento dei contributi o premi venga effettuato, in unica soluzione, entro 30 giorni dalla notifica della contestazione. Questa previsione intende incentivare una rapida regolarizzazione del debito, limitando al contempo il ricorso a lunghe procedure di recupero crediti. È importante notare che, anche in caso di pagamento rateale, l’agevolazione si applica solo se viene corrisposta tempestivamente la prima rata.
La nuova disciplina conferma, inoltre, la possibilità di ridurre ulteriormente le sanzioni civili fino alla misura degli interessi legali, qualora il mancato o ritardato pagamento dei contributi o premi sia dovuto a oggettive incertezze derivanti da contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi. In questi casi, se il versamento dei contributi avviene entro il termine fissato dagli enti impositori, si applicano soltanto gli interessi legali, escludendo quindi qualsiasi maggiorazione sanzionatoria.
Un’ulteriore modifica riguarda la decorrenza delle nuove disposizioni, che si applicano esclusivamente ai premi e contributi richiesti dall’INAIL a partire dal 1° settembre 2024. Ciò significa che le sanzioni civili previste dal nuovo regime non possono essere retroattive, ma riguardano esclusivamente le posizioni contributive relative a periodi successivi a tale data.
Osservazioni operative
Le norme che si sono commentate attengono ad una nuova fase dell’ottica sanzionatoria che dà maggior rilievo alla condotta dei datori di lavoro.
La possibilità di rateizzare i premi in quattro rate annuali rappresenta un’opportunità utile per i datori di lavoro che potrebbero trovarsi in difficoltà economiche. Tuttavia, è essenziale comprendere che il regime agevolato si applica distintamente a ciascuna scadenza rateale, il che implica la necessità di programmare adeguatamente i flussi di cassa per non incorrere in sanzioni più elevate.
Nel caso di contestazioni rilevate d’ufficio o a seguito di verifiche ispettive, i datori di lavoro dovrebbero agire con celerità per beneficiare della riduzione del 50% delle sanzioni. Il termine di 30 giorni dalla notifica della contestazione è piuttosto ristretto, e un mancato rispetto di tale scadenza può comportare il decadimento del beneficio. Pertanto, è consigliabile adottare tempestive misure organizzative per gestire rapidamente eventuali notifiche da parte degli enti impositori.
Infine, le modifiche normative introducono una certa flessibilità nella gestione dei debiti contributivi, soprattutto in caso di oggettive incertezze derivanti da orientamenti giurisprudenziali o amministrativi, come da tempo avviene nell’ambito tributario. In tal senso torneranno utili i principi, anche della Corte di Cassazione, che sono stati nel tempo adottati.