Le Noterelle Operative

Le Noterelle operative Dicembre 2024

DICEMBRE 2024
1) Il Decreto Legge n. 131/2024 e i contratti a termine: nuovi orizzonti per il risarcimento del danno del lavoratore.
A cura di Paolo de Berardinis e Anna Saioni
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge n. 131 del 16 settembre 2024 (cd. Decreto Salva Infrazioni), il Governo italiano ha introdotto misure urgenti volte ad attuare gli obblighi derivanti da procedure di infrazione nei confronti dell’Italia.
Una delle principali finalità del Decreto riguarda la regolamentazione dei contratti di lavoro a termine. L’Unione Europea ha infatti contestato l’utilizzo abusivo del contratto a termine come disciplinato dal nostro ordinamento, rilevando l’assenza di misure adeguate volte a prevenire e reprimere la prassi di stipulazione di successivi rinnovi di contratti a tempo determinato, per particolari categorie di lavoratori del settore pubblico.
Il Decreto ha riguardo sia al settore pubblico che al settore privato, cercando di porre fine a tali abusi.
L’art. 12 del Decreto modifica l’art. 36 commi 3,4 e 5 della L. n. 165/2001, stabilendo il diritto al risarcimento del danno del dipendente pubblico nel caso di reiterazione dei contratti a termine da parte dell’Amministrazione di appartenenza. In particolare, nei casi di contratti a termine in successione abusiva, viene previsto il diritto del lavoratore a chiedere un risarcimento che va da 4 a 24 mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR.
L’entità dell’indennizzo è determinata dal Giudice, che dovrà valutare la gravità della violazione sulla base di parametri quali il numero e la durata dei contratti a termine succedutisi tra il lavoratore e l’Amministrazione.
Il Decreto prevede inoltre la possibilità per l’impiegato di chiedere il risarcimento per un eventuale “maggior danno” rispetto alla somma stabilita dal Giudice. Ciò implica che il lavoratore potrà dimostrare di aver subito un danno superiore all’indennizzo riconosciutogli.
Anche il settore privato è stato coinvolto dal suddetto Decreto, con modifiche analoghe alla disciplina dei contratti a termine. L’art. 11 del Decreto modifica l’art. 28 del D. Lgs. n. 81/2015, il quale regola le conseguenze per il datore di lavoro in caso di sentenza che accerta l’illegittimità del contratto a termine.
Prima delle modifiche introdotte dal Decreto, la norma prevedeva che, in caso di illegittimità di un contratto a termine, il Giudice dovesse convertirlo in un contratto a tempo indeterminato e condannare il datore di lavoro a un risarcimento compreso tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione per il calcolo del TFR, secondo i criteri dell’art. 8 della L. n. 604/1996.
Il D. L. n. 131/2024 ha modificato tali previsioni, attribuendo al Giudice la facoltà di superare il limite massimo delle 12 mensilità, riconoscendo anche al dipendente privato il diritto di dimostrare la sussistenza di un maggior danno. In altri termini, il Giudice può stabilire l’indennità risarcitoria in misura superiore al limite dei 12 mesi previsti, sempre a condizione che il lavoratore fornisca prova dell’effettivo danno subito.
In conclusione, sia nel settore pubblico che in quello privato, la novità più rilevante introdotta dal Decreto Salva Infrazioni è il riconoscimento del diritto per il lavoratore di chiedere il risarcimento di un maggior danno. Il dipendente non è più limitato alla quantificazione “standard” dell’indennità risarcitoria.
Rimangono talune perplessità riguardo alla diversità di trattamento esistente tra il settore pubblico e quello privato in merito all’indennità risarcitoria in caso di abuso nell’utilizzo del contratto a termine. Infatti, nel settore pubblico, la norma prevede un risarcimento che può arrivare fino a 24 mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR, mentre per il settore privato il limite rimane fissato a 12 mensilità. Questa disparità potrebbe essere giustificata dalla differenza tra i due settori: se nel lavoro privato la durata massima dei contratti a termine non può superare i 24 mesi (pena la trasformazione automatica in contratto a tempo indeterminato), nel lavoro pubblico l’abuso nella successione dei contratti a termine può perdurare per periodi molto più lunghi, con impatti significativi sulla stabilizzazione del rapporto di lavoro, da cui la differenza tra l’uno e l’altro regime risarcitorio.

2) Licenziamento disciplinare senza previa contestazione: anche per le imprese di piccole dimensioni è prevista la tutela reintegratoria piena (Trib. Roma, 12 ottobre 2024, n. 10104).
A cura di Paolo de Berardinis e Anna Saioni
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 10104 del 12 ottobre 2024, ha affrontato la questione attinente al licenziamento disciplinare, irrogato senza previa contestazione, da un’impresa di piccole dimensioni.
Nel caso in esame un lavoratore, il quale prestava la propria attività in qualità di unico pasticciere in un negozio di una società che impiegava meno di 15 dipendenti, è stato licenziato in data 21 febbraio 2023 con lettera raccomandata.
L’ex dipendente ha allora adito il Giudice sostenendo, tra le altre tesi, la nullità del licenziamento per la violazione dell’art. 7 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori). In particolare, ha evidenziato che presso il luogo di lavoro non fosse stato affisso il codice disciplinare, e che la contestazione dei presunti addebiti fossa stata effettuata tardivamente, solo con la lettera di licenziamento, senza che gli fosse stata concessa la facoltà di difendersi. Pertanto, il lavoratore ha chiesto all’organo giudicante di accertare la nullità del licenziamento ed ordinare la reintegra nel posto di lavoro.
L’azienda, costituitasi in giudizio, ha eccepito che il licenziamento fosse stato adeguatamente giustificato, motivato dai gravi comportamenti dell’ex pasticciere.
La decisione del Tribunale romano si fonda sull’interpretazione dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, che regola il procedimento disciplinare. Tale norma non costituisce, a parere di detto Tribunale, unicamente una disposizione procedurale, ma rappresenta una norma imperativa ed inderogabile, volta a tutelare il diritto di difesa del contraente più debole (il lavoratore), e la cui violazione determina la nullità del licenziamento.
In particolare, il Giudice si è richiamato alla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, per la quale “il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento, e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria per insussistenza del fatto” (Cass. Civ., 24 febbraio 2020, n. 4879). La violazione dell’art. 7 Stat. Lav. è, pertanto, una “nullità di protezione”, ossia una nullità finalizzata a tutelare il dipendente e a garantire il rispetto delle norme imperative in materia di difesa.
Pur avendo l’azienda meno di 15 dipendenti (e, quindi, non soggetta alla tutela reintegratoria attenuata prevista dall’art. 3 co. 2 D. Lgs. n. 23/2015), il Tribunale ha applicato a questo caso la tutela reintegratoria piena. In considerazione della violazione del diritto di difesa del lavoratore, tutela che prevale sulla dimensione aziendale.
Il licenziamento è stato dunque dichiarato nullo, con ordine di reintegra del dipendente.
Il Giudice si è così conformato alla sentenza n. 22 del 22 febbraio 2024 della Corte Costituzionale, che ha esteso la tutela reintegratoria piena anche ai casi di nullità derivanti da violazioni non espressamente previste dalla legge, purché la norma violata abbia un carattere imperativo. In tal senso, l’art. 7 della Legge 300/1970, in quanto norma di protezione, giustifica la tutela reintegratoria, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa o dalla natura del licenziamento.

Osservazioni operative
Alla luce di questa pronuncia, che secondo molti studiosi è la prima di molte altre (Meiffret F., Licenziamento disciplinare senza previa contestazione: quale tutela applicabile in un’impresa di piccole dimensioni?, 13 novembre 2024), anche le aziende di piccole dimensioni (con meno, cioè di 15 dipendenti), devono attuare la procedura di contestazione disciplinare ai sensi dell’art. 7 Stat. Lav., prima di procedere alla comminazione della sanzione disciplinare. L’assenza di una contestazione comporta a parere del giudice capitolino la nullità del licenziamento stesso, con conseguente obbligo di reintegra del lavoratore in capo al datore.
Dunque, la corretta applicazione della disposizione in esame, non solo garantisce i diritti dei lavoratori, ma offre anche uno strumento di salvaguardia per le aziende di piccole e grandi dimensioni.