Il contratto a termine: figlio di un dio minore, a cura di Paolo de Berardinis
Osteggiato da sempre e visto solo come uno strumento di sottrazione rispetto all’occupazione stabile, quasi che l’occupazione stabile la possano creare le norme di legge ovvero le sentenze, in luogo dell’economia e delle conseguenti e coerenti scelte normative, il contratto di lavoro a tempo determinato ha trovato la consacrazione di tale visione nella disposizione (Ministro del Lavoro Giuliano Poletti nel Governo Prodi) contenuta dalla Legge n. 24/2007, secondo la quale in Italia il contratto di lavoro è a tempo indeterminato e tutto il resto rappresenta solo una, negativa, eccezione.
La mancanza di visione del Legislatore in un arco di tempo lunghissimo, dal 1962 ad oggi, ha fatto sì che per ben 11 volte si è messo mano alla normativa sul contratto di lavoro a tempo determinato, senza mai riuscire ad avere una qualche stabilizzazione, certamente necessaria ed anzi doverosa, escludendo da tale discorso l’intervento recato dalle disposizioni emergenziali, oggi abrogate dal D.L. n. 48/2023. Il risultato di tutto ciò è stato un continuo contenzioso, talvolta avvilente anche per gli approdi, sempre generatore di dubbi continui.
Un Collega, molto efficacemente, ha parlato, in un suo pregevole articolo, di un cantiere sempre aperto. Raffigurazione efficace alla quale mi permetto di affiancarne una parzialmente diversa, vale a dire di cantieri continui. Un po’ come avviene nelle nostre strade, dove chiuso un cantiere se ne apre un altro avente scopo diverso ma incidente nel medesimo luogo, per cui a tutti balena la domanda: «Ma non si poteva prevedere un unico intervento?»
Al Legislatore dell’ultimo nato, il D.L. n. 48/2023, che non penso verrà di molto modificato in sede di conversione in legge, è mancata la visione ed anche, diciamolo, il coraggio del cambiamento del metodo, affermabile mercé una prospettiva di lungo periodo per cui, quantomeno nelle premesse, di una effettiva stabilità.
Sicché è avvenuto, da un lato, che quanto può farsi è solo momentaneo, pardon temporaneo (il termine è fissato al 30 aprile 2024 ma anche qui non si comprende bene se si tratta effettivamente del termine finale del rapporto contrattuale, ovvero ci si riferisca al quando il contratto è stato sottoscritto, vedremo…) e, dall’altro, è rinviato ad altri, vale a dire la contrattazione nazionale ovvero, ma solo in assenza di disposizioni dei contratti collettivi, alla contrattazione aziendale.
Rinvio, questo, che riguarderà molte realtà dove oggigiorno, come l’esperienza insegna, esiste per i sindacati la primaria ed imprescindibile necessità di affilare (leggi tesseramento) foriera di continui litigi e strumentali scavalcamenti tra i sindacati, con buona pace della gestione delle effettive problematiche dell’azienda. Il risultato sarà anche in questo caso un quasi nulla di fatto, fatte salve talune eccezioni tanto apprezzabili quanto rare, ma su questo punto spero proprio di sbagliarmi.
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