Rassegna Stampa dBM

Licenziamento del lavoratore che rifiuta la trasformazione da full-time a part-time (o viceversa): ai fini della legittimita’ del recesso occorre la prova dell’impossibilita’, per il datore di lavoro, di continuare ad utilizzare la prestazione senza modificarne il regime temporale, a cura di Paolo de Berardinis e Giovanna F. Ragusa

 

La Corte di Cassazione con l’Ordinanza del 9 maggio 2023 n. 12244, si è espressa in merito al licenziamento per motivi oggetti dunque ex art. 3, della L. n. 604/1966, del dipendente che abbia rifiutato la proposta aziendale di riduzione dell’orario di lavoro, fornendo un’interessante interpretazione delle disposizioni dettate in materia di orario di lavoro ridotto (part-time), che consente di rispettare le tutele di legge accordate al lavoratore senza che tanto comporti un’assoluta preclusione del recesso per ragioni oggettive.

Ed infatti, la normativa nazionale vigente, contenuta nell’art. 8 del D.Lgs. 81/2015, in attuazione della Direttiva 97/81/CE, prevede che il rifiuto del prestatore di trasformare il proprio rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.

La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, esamina un caso in cui, a seguito di un’operazione di cessione di ramo d’azienda, la forza lavoro proveniente dall’impresa cedente risultava sovra dimensionata rispetto alla mutata organizzazione aziendale ‘di destinazione’.

La Società cessionaria, dunque, proponeva anche al prestatore in questione un accordo di riduzione dell’orario di lavoro, così come fatto nei confronti di due suoi colleghi trasferiti anche loro alle proprie dipendenze.

Non essendovi stata adesione a detta proposta, la cessionaria, non potendo salvaguardare totalmente l’occupazione mediante una riduzione omogenea dell’orario per tutti i dipendenti interessati, al fine di contenere il costo del lavoro, assumeva la decisione di sopprimere la posizione di una singola lavoratrice, che veniva individuata, non solo in ragione del rifiuto opposto alla proposta di trasformazione del suo orario di lavoro, bensì anche in base alle mansioni dalla stessa effettivamente espletate.

La Corte di Cassazione ha, in proposito, affermato il seguente principio: “La previsione dell’art. 8 cit., se esclude che il rifiuto di trasformazione del rapporto in part time possa costituire di per sé giustificato motivo di licenziamento, non preclude la facoltà di recesso per motivo oggettivo in caso di rifiuto del part time ma comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere di prova posto a carico di parte datoriale.

In tal caso, ai fini del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, occorre che sussistano e che siano dimostrate dal datore di lavoro effettive esigenze economiche ed organizzative tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo pieno, ma solo con l’orario ridotto; l’avvenuta proposta al dipendente o ai dipendenti di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale e il rifiuto dei medesimi; l’esistenza di un nesso causale tra le esigenze di riduzione dell’orario e il licenziamento (v. Cass. n. 21875 del 2015; v. anche Cass. n. 6229 del 2007)”.

In tal modo, dunque, il rifiuto della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale diventa, unitamente alle ulteriori situazioni oggettive nelle quali la vicenda si insinua, un elemento per il quale va data la prova da parte del datore, unitamente alle ragioni organizzative ed economiche da cui deriva l’impossibilità, o anche solo la non economicità, della continuazione della prestazione a tempo pieno.

Va però evidenziato che, secondo i giudici di legittimità, non è escluso, in linea generale, che il licenziamento possa costituire una ritorsione rispetto al rifiuto di trasformazione del rapporto di lavoro in part-time, ciò che comporterebbe il diritto del prestatore all’applicazione della tutela reintegratoria.

Affinché possa affermarsi la nullità del licenziamento occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinante esclusiva, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione del giustificato motivo oggettivo di recesso, dimostrazione questa che ricade sul lavoratore e che può essere assolta anche mediante presunzioni.

In particolare, la mancata prova dell’esistenza delle ragioni proprie del giustificato motivo di recesso addotto da parte datoriale, che è già di per sé causa di illegittimità del licenziamento, può costituire anche un indizio del carattere ritorsivo dello stesso.

Pertanto, è opportuno che le imprese abbiano cura di strutturare il recesso avendo poi a disposizione quegli elementi che attestino nel tempo l’effettività delle esigenze organizzative, tecniche o produttive, tali da rendere necessarie modifiche dell’orario di lavoro, nel caso riducendolo.

Come detto andrà provata l’avvenuta proposta del datore della variazione dell’orario di lavoro ed il rifiuto opposto dal prestatore. E’ preferibile, dunque, che tali comunicazioni avvengano sempre per iscritto.

Tanto consentirà di provare l’esistenza di un nesso causale tra le predette esigenze di modifica dell’orario di lavoro ed il successivo licenziamento, affinché quest’ultimo non risulti intimato esclusivamente a motivo del rifiuto del dipendente di trasformare il proprio rapporto da tempo pieno a parziale (o viceversa), ma piuttosto per l’impossibilità dell’azienda di continuare ad utilizzare la prestazione con l’orario di lavoro in essere.

Si può licenziare un lavoratore che rifiuta la trasformazione da full-time a part-time (o viceversa)?