Le Noterelle Operative Luglio 2024
1) Le nuove linee guida del Garante Privacy del 6 giugno 2024 relative ai “metadati” delle e-mail aziendali: le azioni da porre in essere.
A cura di Paolo de Berardinis e Lorenzo Cola
L’Autorità Garante della Privacy ha varato, in data 6 giugno 2024, le nuove linee guida sulla conservazione dei c.d. metadati delle e-mail aziendali. Queste ultime si sovrappongono a quelle precedenti, a dir poco “stringenti”, del 6 febbraio 2024, in merito alle quali erano state sollevate non poche critiche e perplessità, a seguito delle quali il Garante aveva avviato una procedura di consultazione pubblica.
Le nuove linee guida definiscono più precisamente la nozione dei c.d. metadati delle e-mail aziendali, restringendone il perimetro entro il quale essi devono considerarsi inutilizzabili.
In particolare, il trattamento dei “metadati” è considerato illegittimo, per violazione del diritto alla privacy dei dipendenti, laddove i software gestionali delle e-mail aziendali conservino tali dati per un periodo superiore a 21 giorni (diversamente dai 7 giorni, estensibili di ulteriori 48 ore in presenza di comprovate esigenze, previsti dalle precedenti linee guida).
Secondo la nuova disciplina, i metadati presi in considerazione dal Garante della Privacy sono le “informazioni registrate nei log generati dai sistemi server di gestione e smistamento della posta elettronica (mail transport agent) e dalle postazioni client (mail user agent)”.
Trattasi, in altre parole, delle sole informazioni tecniche che vengono automaticamente inserite nei registri (log), le quali, per l’appunto, non possono essere conservate dai sistemi per più di 21 giorni, pena la loro inutilizzabilità ex art. 4, co. 3, L. n. 300/1970 a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro. In termini concreti, laddove dalle predette informazioni dovesse emergere un’ipotesi di inadempimento da parte del lavoratore, si potrà muovere una contestazione disciplinare al dipendente interessato solamente entro 21 giorni dalla registrazione dei dati dai sistemi informatici, ovvero dall’invio/ricezione della e-mail, se le informazioni sono ad essa correlate.
Tra le altre conseguenze di natura operativa che si annotano, vi è quella della impossibilità di contestare una possibile recidiva afferente fatti in precedenza commessi sulla base di dati registrati più di 21 giorni prima il momento in cui si intende far valere tale recidiva.
Restano esclusi dalla nozione di “metadati” le informazioni contenute nel c.d. “envelope”, vale a dire l’insieme delle intestazioni tecniche strutturate che documentano l’instradamento del messaggio, la sua provenienza ed altri parametri.
Osservazioni operative
Pertanto, gli accertamenti che le Aziende devono porre in essere sono in linea di principio i seguenti:
1. verificare con i propri consulenti IT se i sistemi gestionali della posta elettronica aziendale in uso ai dipendenti conservano automaticamente i metadati interessati dalle linee guida del 6 giugno 2024;
2. controllare la sussistenza della possibilità di disporre la cancellazione automatica di tali dati dopo 21 giorni.
Compiute queste preliminari attività, laddove si intendesse conservare i c.d. metadati per un periodo superiore rispetto a quello sopra precisato, sarà necessario adempiere agli obblighi previsti dalla normativa privacy (come fornire ai dipendenti l’informativa privacy sul trattamento di tali dati, effettuare la Data Protection Impact Assesment e la Legitimate Interest Asessment ), nonché – non essendo la conservazione dei citati metadati, dopo 21 giorni, giustificabile secondo la previsione dell’art. 4, co. 2, L. n. 300/1970 – ricorrere ad un accordo sindacale ovvero richiedere l’autorizzazione amministrativa, qualora ne ricorrano i presupposti ex art. 4, co. 1, L. n. 300/1970.
2) Durata della prestazione lavorativa: la giurisprudenza stabilisce che l’impresa può provare la sospensione della prestazione e della retribuzione nei contratti full-time di lavoro anche per facta concludentia (Cass., 25 giugno 2024, n. 17419).
A cura di Paolo de Berardinis e Silvia Laurora
Nel complesso panorama giuridico del lavoro subordinato si inserisce l’ordinanza n. 17419 depositata il 25 giugno 2024, nella quale la Suprema Corte di Cassazione ha fornito un importante chiarimento in merito alla natura dei rapporti di lavoro subordinato, specialmente in assenza di un
contratto scritto. La decisione ha un significativo impatto sulle dinamiche tra datore e prestatore di lavoro.
In particolare, nella pronuncia in commento viene esaminato il caso di alcuni dipendenti di una discoteca con bar e ristorante, i quali avevano stipulato un accordo aziendale che prevedeva una riduzione dell’orario di lavoro con la garanzia di 120 giornate lavorative annuali. Successivamente, la società aveva disdetto questo accordo, il che aveva portato i lavoratori a rivendicare il diritto alla retribuzione per il tempo pieno, con il pagamento delle differenze retributive. L’impresa si è opposta, sostenendo che il locale aveva un calendario di aperture limitato e che i dipendenti avevano lavorato solo nei giorni di apertura, osservando di fatto un orario part-time verticale.
Il Tribunale ha accolto la domanda dei lavoratori, mentre la Corte d’Appello ha riformato la decisione, rilevando che i dipendenti dovevano essere retribuiti solo per le giornate effettivamente lavorate. La questione è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione con i lavoratori che contestavano la decisione della Corte d’Appello, sottolineando l’assenza di un contratto scritto che prevedesse il part-time, e la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha stabilito che in assenza di un contratto di lavoro scritto il rapporto di lavoro subordinato deve presumersi costituito a tempo pieno. Il Giudice di legittimità ha però ribadito il principio secondo il quale, pur in presenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno, il datore di lavoro può dimostrare le sospensioni assunte e riscontrate come concordate, ciò anche attraverso comportamenti concludenti. Una volta provate tali sospensioni, queste si configurano come clausole tacite integrative del contratto individuale di lavoro a tempo pieno. Il contratto integrato in tal modo, laddove intervengano eventuali ulteriori modifiche per le stesse, renderà necessario un nuovo consenso del lavoratore, senza poter imporle unilateralmente.
Nel caso di specie, in base a quanto accertato in fatto dai giudici di appello sulla base degli atti di causa, risulta che ab initio i contratti di lavoro subordinato, pur stipulati senza forma scritta e quindi da ritenere full-time, hanno avuto consensuale esecuzione nei soli giorni di apertura del locale. La sospensione o riduzione consensuale delle prestazioni lavorative, concordata da tutti i dipendenti, nei giorni di chiusura del locale – nell’ambito di rapporti di lavoro subordinato full-time – ha trovato conferma nell’accordo sindacale aziendale stipulato ai fini di fornire garanzie ai lavoratori di un numero minimo di giornate retribuite all’anno (per la fattispecie oggetto di giudizio, fissato in 120 giorni).
Il consenso modificativo, nel caso di specie, è mancato e non essendo invocabile in tal senso un “uso aziendale”, modificabile anche con accordo aziendale (cfr. Cass. n. 31204/2021; Cass. n. 7395/2013; Cass. n. 17481/2009. Infatti, la nozione di uso aziendale elaborata dalla stessa Corte di legittimità è quella di una “reiterazione costante e generalizzata di un comportamento del datore di lavoro favorevole ai dipendenti”. Nel caso oggetto dell’ordinanza in esame, invece, si tratta di una “clausola tacitamente e consensualmente pattuita, di segno sfavorevole in quanto volta a ridurre le corrispettive prestazioni lavorative e retributive pur nell’ambito di un rapporto di lavoro da qualificare giuridicamente come full-time”.
La Cassazione ha quindi rinviato la causa alla Corte d’Appello, la quale dovrà attenersi ai seguenti principi di diritto, così enunciati:
1. “pur in presenza di un rapporto di lavoro subordinato full-time, il datore di lavoro può provare sospensioni concordate delle prestazioni lavorative e delle correlative retribuzioni anche per facta concludentia;
2. una volta raggiunta la prova di tali sospensioni, esse si traducono in clausole tacite integrative del contratto individuale di lavoro full-time;
3. una volta integrato in tal modo il contratto, eventuali modifiche successive di quelle sospensioni concordate richiedono un nuovo consenso del lavoratore e quindi non possono essere disposte né imposte unilateralmente dal datore di lavoro”.
Osservazioni operative
Per contemperare tali principi con le esigenze dell’impresa, è evidente la rilevanza che assume la stipulazione di accordi chiari e ben documentati con i dipendenti, specialmente rispetto ad eventuali modifiche contrattuali che producano effetti sulle prestazioni lavorative e sulle retribuzioni. E ciò per prevenire possibili esborsi economici in capo al datore di lavoro.
L’assenza di contratti scritti, chiari e dettagliati potrebbe portare a presunzioni sfavorevoli che configurano il rapporto di lavoro come full-time, con gli obblighi retributivi dei quali si è detto.
È dunque fondamentale che tali comunicazioni siano sempre effettuate per iscritto e tempestivamente, evitando di dover provare l’avvenuto accordo coi lavoratori ovvero fatti concludenti riguardo le sospensioni delle prestazioni lavorative. Queste precauzioni permetteranno alle Imprese di tutelarsi qualora dovessero essere avanzate richieste risarcitorie da parte dei dipendenti per violazioni della normativa relativa ai contratti di lavoro, sia esso part-time o full-time.