Noterelle Operative

Marzo 2023

Noterelle Operative – Marzo 2023

Limitazione della comparazione tra lavoratori in caso di licenziamento collettivo (Cass. sent. n. 2131/2023).

La sentenza:

Secondo la Cassazione, in tema di licenziamento collettivo, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione del personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, tuttavia è necessario che il datore di lavoro indichi nella comunicazione prevista dalla l. n. 223/1991, art. 4 comma 3, sia le ragioni che limitino i licenziamenti al dipendente dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui egli non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità di programmati licenziamenti. Inoltre, precisa la Corte che grava sul datore di lavoro l’onere di provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata.

Osservazioni operative:

La pronuncia sopra riportata non è in assoluto una novità. Senonché queste sentenze, anche da ultimo, si sono ripetute con una certa frequenza, segno evidente che esiste un problema a monte di impostazione di quella complessa attività che riguarda la riduzione di personale che va sotto il nome di licenziamento collettivo.

Le conseguenze di una poco attenta impostazione sono considerevoli, visto che possono portare alla reintegrazione nel posto di lavoro di un numero considerevole di dipendenti precedentemente licenziati.

Le Aziende che posseggono strutture complesse, per cui più unità produttive, sono tenute, si badi sin dall’apertura della procedura di licenziamento come stabilita dalla l. n. 223/1991-per cui nel momento stesso nel quale comunicano alle parti sociali la loro necessità di ridurre il numero dei propri lavoratori- a chiarire i motivi per i quali la detta riduzione riguarda esclusivamente taluni siti.

Laddove tanto non dovesse avvenire sarà l’intera procedura a rischio di illegittimità, in quanto il confronto al tavolo sindacale avverrà in maniera non completa, non potendosi valutare, in assenza di specifiche informazioni che devono essere contenute nella lettera di apertura della procedura, azioni eventualmente diverse rispetto al licenziamenti, viziando in questo modo sia il procedimento ma, ciò che più conta in particolare i successivi recessi.

È dunque necessario che vengano rese dettagliate informazioni, ad esempio, sulla caratteristica specifica di una certa unità, nonché in merito alle differenti professionalità esistenti, e così dicasi per le produzioni, di modo che risulti razionale e non arbitrarie la scelta dell’imprenditore che, scelta che in caso di contestazione, dovrà essere opportunamente provata quanto ai distinguo dei quali si è detto.

 

Licenziamento del lavoratore che minaccia l’amministratore (Cass. ord. n. 6584/2023)

L’ordinanza:

La Cassazione si è pronunciata, con l’ordinanza in commento, sul caso di una guardia giurata che aveva aggredito verbalmente l’Amministratore della società datrice di lavoro. A tal proposito, la Cassazione ha ritenuto che la valutazione di gravità della condotta non concernesse solo il profilo di ribellione all’autorità datoriale titolare del potere disciplinare, ma che dovessero essere valutate anche le particolari modalità con le quali la condotta addebitata si è estrinsecata. Nel caso di specie, la condotta è stata ritenuta particolarmente pericolosa e minacciosa in quanto accompagnata dall’estrazione dalla fondina di un’arma caricata.

Osservazioni operative:

La pronuncia del Giudice di legittimità non ha bisogno di particolari commenti quanto al caso giudicato.

È invece interessante soffermarsi su un aspetto che, alcune volte, viene per così dire dimenticato. Che si vuole riferire alla lettera di contestazione, alla sua completezza, alla necessità che nella stessa venga specificato ogni dettaglio dell’accaduto. Si parla infatti, con un indiretto riferimento al campo penalistico, di cristallizzazione della contestazione disciplinare similmente a quanto avviene con riferimento alla contestazione della commissione di un reato.

Ebbene, sono propri i particolari enunciati nella predetta lettera di contestazione che consentono la valutazione in sede giudiziaria del quadro complessivo, che attiene sia affatto ma anche alle modalità con le quali quel fatto è avvenuto.

Non si tratta di elementi di scarsa rilevanza, in quanto proprio l’aspetto della cristallizzazione della contestazione disciplinare, fa sì che elementi importanti laddove non contestati non potranno essere valutati. Ne consegue che, in particolare per quanto attiene l’aspetto centrale della gravità complessiva del comportamento, non troveranno ingresso circostanze che laddove enunciate e quindi dimostrate avrebbero consentito al datore di lavoro di trovare la correttezza, per quanto attiene alla proporzionalità, del provvedimento disciplinare irrogato.

 

TFR  e onnicomprensività per le somme a titolo retributivo corrisposte continuativamente (Cass. ord. n. 33278/2021)

L’ordinanza:

La Cassazione, richiamando, da un lato, la disposizione dell’art. 2120 c.c. al fine di determinare la retribuzione utile per l’accantonamento del TFR e, dall’altro, la giurisprudenza precedente formatasi sul punto, ribadisce il principio dell’onnicomprensività delle somme a titolo retributivo corrisposte

 

continuativamente. In modo particolare, nel caso in questione i giudici di legittimità hanno ritenuto irrilevante la circostanza per cui determinati emolumenti (ad es. i premi, la diaria, ecc.) siano erogati in misura variabile. Ciò che rileva, per la Cassazione, è che tali emolumenti siano corrisposti a cadenza fissa, assumendo pertanto carattere continuativo.

Osservazioni operative:

È noto che, in particolare presso le aziende più evolute, esistono sistemi retributivi che si affiancano a quelli tradizionali costituiti dal pagamento della retribuzione e di un super minimo. Questi sistemi privilegiano, e così incentivano, l’aspetto della collaborazione del dipendente fissando dei target al cui raggiungimento vengono erogati dei premi, il sistema è noto come MBO.

Esistono sono sistemi molto sofisticati, altri più semplice ma, cercando di ridurre ad unicum, tutti pongono quale condizione per la maturazione del premio il conseguimento di un certo obiettivo.

Relativamente alla TFR si pone il quesito se dette somme vadano o meno accantonate, nel caso esaminato la Corte di Cassazione ha ritenuto che in applicazione del principio della omnicomprensiva della retribuzione utile ai fini della TFR, sussisteva sempre con riferimento al caso l’obbligo dell’accantonamento. La domanda che ci si pone è: è sempre così? Ovvero esistono situazioni nelle quali può essere affermato che l’accantonamento non deve essere effettuato.

La risposta a tale quesito riguarda due aspetti, il primo attiene alle previsioni del C.C.N.L. applicabile, perché in taluni casi la disposizione contrattuale determina esattamente quali sono le voci da computare ai fini del TFR, per cui laddove non fosse citata la retribuzione variabile collegata al raggiungimento degli obiettivi, allora l’obbligo dell’accantonamento non sussiste.

Il secondo profilo attiene al come è stato enunciato il piano di MBO, se è prevista a favore del datore di lavoro la possibilità della modifica dello stesso ovvero se -considerata la situazione aziendale-sia possibile non fissare gli obiettivi, ovvero, di contro, se sussiste un obbligo di fissazione annuale degli obiettivi stessi.

Non si tratta di questioni di poco conto, le stesse devono essere, necessariamente, affrontate e formalizzate nel momento nel quale la retribuzione ad incentivo viene comunicata e concordata con il dipendente.

Ed infatti, in taluni casi è possibile sostenere che non vi è reiterazione in senso giuridico, in quanto non è possibile ex ante stabilire l’esistenza di un obbligo costante; in tal caso si fuoriesce da quanto la norma civilistica che regola il TFR dispone, tanto in ragione della insussistenza della obbligatorietà.