Noterelle Operative

Febbraio 2023

Noterelle Operative – Febbraio 2023

L’indennità di preavviso del licenziamento è esclusa dal calcolo del TFR (Cass. sent. n. 1581/2023)

La sentenza:

Secondo la sentenza della Corte di Cassazione, l’indennità di mancato preavviso non rientra nella base di computo degli istituti contrattuali collettive di legge sopra citati, poiché essa non è dipendente dal rapporto di lavoro, essendo invece riferibile ad un periodo non lavorato. Infatti, in conformità con l’orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo la Cassazione, il preavviso, avendo efficacia esclusivamente obbligatoria, comporta la risoluzione immediata del rapporto anche laddove il luogo della prestazione venga pagata l’indennità sostitutiva del preavviso che costituisce l’unico obbligo della parte recedente.

Osservazioni operative:

La questione decisa dal Supremo Collegio consegue ad un ulteriore principio giurisprudenziale, ormai da lungo tempo affermatosi, secondo il quale il preavviso non ha natura reale bensì obbligatoria. Ciò sta a significare che anche laddove il datore di lavoro non richieda l’effettuazione della prestazione nel corso del periodo di preavviso, rimanendo conseguentemente obbligata a corrispondere l’indennità sostitutiva dello stesso, ebbene a tanto consegue la immediata cessazione, ad ogni effetto, del contratto di lavoro. Sicché, collocandosi l’indennità sostitutiva della quale si tratta al di fuori del contratto di lavoro non potrà essere considerata relativamente agli istituti di legge e contrattuali citati.

Non si tratta di un principio di scarsa rilevanza, in particolare laddove il lavoratore interessato sia un dirigente, per cui gli effetti di carattere economico sono generalmente piuttosto rilevanti.

Va detto, quale ulteriore spunto, che la questione del preavviso, o meglio quella dell’obbligo della sua corresponsione, proprio con riferimento alla categoria dei dirigenti, può essere opportunamente affrontata per evitare che al raggiungimento dell’età pensionabile di vecchiaia da parte del dirigente, il datore di lavoro sia comunque costretto a concedere il preavviso facendolo lavorare ovvero a pagare l’indennità sostitutiva del preavviso medesimo. Ed infatti, se opportunamente previsto, il rapporto di lavoro può farsi cessare ai sensi dell’art. 2118 c.c. senza che si debba erogare una somma generalmente molto ingente.

 

Rilevanza del giudizio penale nel procedimento disciplinare (Cass. sent. n. 36861/2022)

La sentenza:

Con la pronuncia in questione, la Corte di Cassazione ha enunciato un principio di diritto per cui, nell’accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, il giudice del lavoro può fondare il suo convincimento sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento. Infatti, la parte può sempre contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti acquisiti in sede penale. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha dichiarato che le intercettazioni telefoniche o ambientali effettuate in un procedimento penale sono utilizzabili nel procedimento disciplinare, di cui all’art. 7 della L. . 300/70, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali.

Inoltre, nella medesima pronuncia, la Cassazione ha ritenuto che un giudicato di assoluzione o una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato non determinano l’automatica archiviazione del procedimento disciplinare perché non si può escludere che il fatto, seppur  inidoneo a fondare una responsabilità penale, possa comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare.

Osservazioni operative:

I temi che la pronuncia pone sono numerosissimi, gli stessi vanno dalla utilizzabilità delle prove alla distinzione tra il procedimento penale e quello civile, nel caso del lavoro.

Si tratta di aspetti piuttosto complessi e che, si segnala, saranno affrontati nel corso del Webinar che è stato organizzato dallo Studio unitamente ad altri professionisti per la data del 24 p.v. alle ore 15,00.

In questa sede preme evidenziare un aspetto altrettanto importante quello dell’autonomia del procedimento penale rispetto a quello civilistico. Operativamente tanto sa significare che non necessariamente la condanna in sede penale porterà ad un giudizio di legittimità del recesso, così come laddove fosse pronunciata una assoluzione, non per questo necessariamente il licenziamento sarà ritenuto illegittimo.

Vi sono, inoltre, delle situazioni definibili di confine. Si tratta di quei casi nei quali i contratti collettivi nazionali di lavoro, nell’ambito delle esemplificazioni espresse nella parte relativa al procedimento disciplinare, enunciano specificamente fattispecie costituenti reato quali motivi legittimanti il recesso per giusta causa.

In tal caso, si deve considerare che, ferma restando la necessaria valutazione sulla effettiva vincolatività della previsione contrattuale collettiva – è noto infatti che in molti C.C.N.L. si dice che le previsioni delle quali si tratta solo esclusivamente esemplificative- laddove vi fosse una piena corrispondenza tra l’espressione letterale contenuta dal contratto collettivo e la definizione del reato, allora in un tal caso, varrà quanto previsto dal codice penale. Per cui è necessario porre molta attenzione su tale aspetto, in quanto alla non ricorrenza tra quanto accaduto e disciplinarmente contestato, con la previsione del reato potrebbe conseguire illegittimità del licenziamento.

 

Quando il periodo di reperibilità costituisce orario di lavoro secondo la Corte di Giustizia dell’unione europea e la Corte di Cassazione.

In conformità con il D.lgs. n. 66/2003, per qualificare un periodo come orario di lavoro o come periodo di riposo bisogna fare riferimento a tre requisiti considerando se il lavoratore:

  • sia a lavoro o nel luogo di lavoro determinato dal datore di lavoro;
  • sia a disposizione del datore di lavoro;
  • eserciti la propria attività lavorativa o le proprie funzioni.

Quando ricorrono tutti gli elementi citati, allora senza meno si rientra nel novero dell’orario di lavoro con ogni relativa conseguenza.

L’aspetto affrontato nell’occasione dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, concerne quelle situazioni nelle quali il lavoratore sia sì a disposizione del datore di lavoro, ma senza rendere la prestazione lavorativa, situazione questa che può concretamente verificarsi in varie ipotesi.

La Corte di Giustizia si è pronunciata con diretto riferimento ai medici che rendevano si periodi di guardia presso una certa struttura sanitaria. In questi casi, la Corte ha ritenuto che ricorressero certamente due degli elementi qualificatori dell’orario di lavoro, vale a dire la presenza nel luogo di lavoro determinato dal datore di lavoro e la disponibilità ad esercitare la propria prestazione. La Corte però altresì valutato il dato costituito dalla ridotta libertà di gestione del proprio tempo durante il periodo di guardia, pervenendo alla conclusione della sussistenza dell’orario di lavoro.

Diverso è il caso in cui il lavoratore sia sì reperibile ma in un luogo che egli stesso ha scelto. Secondo la Corte, il periodo di reperibilità , a differenza del periodo di guardia, deve essere qualificato come orario di lavoro soltanto qualora i vincoli imposti al lavoratore siano di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e significativo la sua facoltà di gestire il tempo in cui il medesimo non lavora, potendosi verificare ai propri interessi personali. Per cui, se i vincoli imposti al lavoratore non siano così intensi e gli permettono di gestire il proprio tempo, coltivando i propri interessi senza limitazioni significative, allora sarà considerato come orario di lavoro soltanto il tempo in cui venga effettivamente svolta la prestazione lavorativa nel corso di tale periodo.

Tale orientamento, condiviso anche dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. sent. n. 30301/2021), può così essere riassunto: laddove ricorrano due dei tre elementi qualificatori della fattispecie di orario di lavoro, il periodo di reperibilità, considerandosi le circostanze oggettive nelle quali la disponibilità avviene, può costituire orario di lavoro. Mentre quando il lavoratore si obblighi ad un periodo di reperibilità semplicemente impegnandosi ad intervenire entro un periodo tempo determinato dal datore di lavoro, il periodo in questione costituisce orario di lavoro solo se l’obbligo imposto al lavoratore, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, sia tale da comprimere in maniera significativa ed oggettiva la libertà del lavoratore di disporre del proprio tempo.

Osservazioni operative:

Quanto sopra riferito, a ben riflettere, costituisce un quadro nel quale vanno svolte talune rilevanti valutazioni, tanto più ciò è vero se si pensa che oggi, grazie alla tecnologia, la prestazione può essere resa in varie forme e, per quanto qui più strettamente occupa, senza che se vi sia un vincolo di luogo imposto dal datore di lavoro.

Ed allora, la disponibilità “vincolante” potrebbe esser divenuta residuale, dovendo naturalmente escludere da tale ambito quelle prestazioni che non possono essere che, oggettivamente, rese in loco (si pensi ad esempio al responsabile della sicurezza degli impianti). Ma, in verità, per tutti gli altri lavoratori come soddisfi basta un Click.

Quanto ora detto può rilevare a condizione che sia opportunamente pattuito, nel senso che se si continuano a utilizzare, come si legge in tanti contratti di lavoro individuali, formule generiche per regolare l’aspetto della disponibilità, allora, con ogni probabilità, non si raggiungerà lo scopo di distinguere tra prestazione di lavoro effettiva, e come tale da retribuire, e mera disponibilità a rendere la prestazione.

Per cui, operativamente, bisogna distinguere formalmente, già in sede di accordo individuale, tra l’una all’altra delle situazioni citate, precisando che, considerato il contenuto della prestazione per la quale si pattuisce la disponibilità e la modalità con la quale la stessa può essere resa, soltanto laddove la stessa venga effettivamente eseguita e solo per il tempo del suo disimpegno, darà diritto alla controprestazione economica.