Noterelle Operative

Ottobre 2022

Noterelle Operative – Ottobre 2022

1. Prescrizione dei crediti a decorrere dalla fine del rapporto di lavoro (Cassazione n. 26246/2022)

La sentenza

La pronunzia attiene al tema della decorrenza della prescrizione dei crediti derivanti dal rapporto di lavoro. Più in particolare, la Cassazione, ripercorrendo le vicende normative e giurisprudenziali che hanno riguardato la questione negli ultimi decenni, ha posto una distinzione sulla base della disciplina applicabile ai singoli rapporti di lavoro.

La Cassazione precisa, pertanto, che la prescrizione decorre in costanza di rapporto esclusivamente quado la reintegrazione sia effettivamente la sanzione contro ogni illegittimo licenziamento (così accade per i lavoratori pubblici e per i licenziati a cui si applica il testo dell’art. 18 St. lav. anteriore alla legge n. 92/2012). In questo caso, infatti, il lavoratore non si trova in quella particolare situazione psicologica (c.d. metus) che lo condurrebbe a non esercitare i suoi diritti per paura di subire un licenziamento.

Diversamente, invece, deve dirsi per i rapporti di lavoro per i quali è la legge n. 92/2012 e il d.lgs. n. 23/2015 a disciplinare gli effetti della pronunzia di illegittimità del recesso. In questi casi la reintegrazione nel posto di lavoro assume un ruolo residuale. Pertanto, per tutti quei diritti di credito che non si sono prescritti al momento dell’entrata in vigore della L. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Osservazioni operative

La sentenza di cui si tratta era molto attesa, infatti nella giurisprudenza di merito si erano verificate letture del tutto divergenti.

Si tratta della prima pronunzia in materia, è possibile che ne seguano altre anche di segno diverso, a quel punto sarà necessario che la questione venga esaminata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Oggi, però, si devono assumente iniziative coerenti rispetto ad un principio affermato e che ha delle chance di divenire definitivo.

Ed allora visto che la prescrizione dei possibili crediti del prestatore potrebbe non verificarsi nel corso del rapporto di lavoro, sarà necessario avere argomenti oggettivi volti a contrastare possibili pretese.

In tale contesto la ordinata conservazione dei dati, la verifica delle situazioni, la possibilità di contrapporre circostanze e situazioni che possono riguardare anche epoche lontane, diviene essenziale.

 Per andare sul concreto, se Tizio assume che il suo inquadramento era errato per difetto, pretendendo differenze retributive,  l’azienda avrà la necessità di ricostruire la situazione nella quale la prestazione è stata resa. In particolare, se Tizio dipendeva da un responsabile, se questi, e non il chiedente, avevano determinati poteri, facoltà, procure etc. sono tutti dati essenziali che, per conseguenza, vanno rinvenuti.

Non meravigli l’invito ad usare diligentemente gli strumenti gestionali, chi scrive ha dovuto in svariate occasioni constatare che le memorie storiche riguardavano le persone, spesso non più presenti in azienda e non gli strumenti.

 

 

2. Licenziamento per superato periodo di comporto (Trib. Milano sez. lavoro, decreto del 23/01/2017)

Il decreto

Il Tribunale di Milano si è pronunciato in merito ad un licenziamento intimato, a seguito del superamento del periodo di comporto, nei confronti di una lavoratrice portatrice di handicap grave.

In particolare, a fronte delle doglianze della lavoratrice secondo cui il licenziamento era da ritenersi illegittimo, il Tribunale, rigettando il ricorso della lavoratrice, ha precisato che l’ordinamento nazionale prevede meccanismi difensivi per il lavoratore che versi in stato di disabilità; in modo particolare il giudice ha fatto riferimento alle previsioni della legge n. 104/1992, che permette al lavoratore di godere di permessi retribuiti, e al D.L. n. 119/2011, che consente al medesimo di richiedere 30 giorni di congedo per cure garantendogli di evitare che il periodo dedicato alle cure possa essere imputato ad assenza per malattia.

Inoltre, il Tribunale ha altresì precisato che in capo al datore di lavoro non esiste alcun obbligo di consentire il godimento di ferie o permessi non ancora maturati.

Osservazioni operative

La sentenza da una serie di spunti sul piano operativo. In primo luogo è da considerare che laddove l’assenza del lavoratore è connessa con la sua disabilità, allora la certificazione medica dovrebbe (il condizionale è d’obbligo perché i medici sono davvero distratti) portare un flag sulla casella che pone riferimento allo stato del lavoratore.

In tal caso la questione cambia diametralmente aspetto e peso, in quanto il recesso potrebbe essere ritenuto discriminatorio. Entrano allora in gioco altre  e complesse questioni che afferiscono alla situazione oggettiva della persona portatrice di handicap, alle sue  condizioni di lavoro, ai presidi posti in essere da datore di lavoro: tutto ciò va debitamente  considerato.

Ma se non si pone attenzione a quel flag allora il licenziamento potrebbe essere  irrimediabilmente compromesso. 

L’altra questione attiene all’obbligo del datore di lavoro di concedere le ferie al lavoratore il cui periodo di comporto è prossimo all’esaurimento.

Quest’obbligo non è immanente, nel senso che la richiesta dell’interessato deve esser fatta tempestivamente dall’interessato. Inoltre, le ferie devono essere già state maturate per  cui , come si nota nella pronunzia, non vi è obbligo di anticipazione.

 

 

3. Cambio appalto e assunzione del lavoratore in presenza di fatti gravi (Cass. sent. n. 22212/2022)

La sentenza

La pronunzia attiene al caso in cui, a seguito di cambio appalto, il nuovo datore di lavoro decide di non assumere il lavoratore condannato, con sentenza passata in giudicato, per il reato di traffico di sostanze stupefacenti, nonostante la presenza della clausola di salvaguardia (c.d. sociale) contenuta nel ccnl applicato.

Infatti, secondo la Cassazione, tali clausole, previste dai contratti collettivi in caso di cambio appalto, non garantiscono un obbligo incondizionato dell’azienda subentrante ad assumere il lavoratore; quest’ultima, infatti, può riservarsi il diritto di compiere delle verifiche sull’idoneità del lavoratore a svolgere le mansioni previste. Così facendo, la Cassazione definisce un limite entro cui possono trovare applicazione tali clausole di salvaguardia. Il diritto all’assunzione scaturente dalla clausola di salvaguardia non può essere assoluto, ma è condizionato al rispetto dei principi generali del sistema, che consentono all’impresa di procedere alla verifica dell’attitudine professionale del dipendente. Nel caso di specie, tale attitudine era da escludere per via dell’accertamento, con sentenza passata in giudicato, della commissione del reato di traffico di stupefacenti.

Osservazioni operative

La vicenda che la Corte ha esaminato riguarda il caso della sussistenza della c.d. clausola sociale per cui dell’obbligo del datore di lavoro subentrante di assumere i lavoratori, aventi determinate caratteristiche di anzianità presso l’appalto e di inquadramento, presenti al momento della cessione dell’appalto stesso.

Ebbene, questo obbligo non è incondizionato e non sfugge alle regole generali dell’ordinamento, ivi comprese le caratteristiche soggettive del prestatore.

Proprio su questo aspetto è utile soffermarsi per osservare che è del tutto opportuno dare luogo ad una effettiva operazione di discloser già nel corso della procedura di confronto sindacale, che i ccnl dei settori maggiormente interessati dagli appalti prevedono.

Vi è da dire che in determinati contesti, quale è ad esempio quello scolastico, anch’esso interessato da frequenti cambi di appalto, la condizione soggettiva del lavoratore deve essere accertata con l’esibizione di certificazione che escluda la commissione di particolari reati( cfr art 25 bis  DPR 313/2002).

Sicché, sul piano appare utile inserire nel possibile accordo sindacale, come nelle lettere di assunzione dei lavoratori di cui si tratta, che si procederà alle assunzioni degli aventi diritto a condizione che non sussistano situazione ostative anche di contenuto soggettivo.

 

 

4. Il lavoratore può registrare di nascosto le conversazioni per ragioni difensive (Cass. sent. n. 28398/2022)

La sentenza

La pronunzia attiene all’utilizzabilità, in giudizio, di registrazioni di conversazioni intercorse tra un lavoratore ed i suoi colleghi. Secondo la Corte, la registrazione di una conversazione tra presenti può costituire fonte di prova purché ciò avvenga entro specifici limiti. In modo particolare è necessario che:

  • colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dalla registrazione stessa;
  • almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione si è svolta, sia parte in causa.

La Corte ha altresì precisato che l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro, non necessita del consenso dei presenti. Tanto in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza, da una parte, e della tutela giurisdizionale del diritto, dall’altra. Sulla base di ciò, la Corte ha ritenuto legittima la condotta del lavoratore che ha effettuato registrazioni per la propria tutela, precostituendo un mezzo di prova, rispondendo ciò alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.

Osservazioni operative

Oggigiorno le registrazioni sono facilmente effettuabili, persino con gli smartphone. Per cui la possibilità che si ricorra a questo mezzo di prova è, specialmente in determinate situazioni di conflitto, da dare quasi per scontata.

Sul piano processuale la valutazione del profilo della attendibilità della registrazione, è di fatto affidata al giudice del merito. Va detto che si tratta di un esame non facile, atteso che, altra abitudine del momento, non sempre le registrazioni sono integrali, spesso oltre a mancare di  taluni momenti, non si riesce a comprendere quale era il contesto, se si era verniciata una provocazione e via dicendo.

Specialmente in talune situazioni l’uso del cellulare dovrebbe essere vietato. Questo divieto è di  possibile attuazione,  privilegiando gli aspetti della necessaria privacy – si pensi a riunioni durante le quali vengono trattati argomenti particolarmente delicati- ovvero a contesti lavorativi nei quali l’uso del telefonino può comportare una situazione di pericolo per il lavoratore e per i suoi colleghi.

In entrambi i casi citati l’interdizione di cui si tratta è legittima attese le motivazioni che, a loro volta, devono essere oggettive.