La Legge Delega n. 206/2021: le novità in ambito di processo del lavoro
A cura del dott. Ettore Merendino
Il 9 dicembre 2021 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 206/2021, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”.
La Legge, strutturata in un unico articolo composto di ben 44 commi, dispone che entro un anno dalla propria entrata in vigore -24 dicembre 2021-, il Governo dovrà adottare uno o più Decreti Legislativi recanti il riassetto formale e sostanziale del processo civile, adempiendo così anche agli impegni assunti con l’Unione Europea, a seguito dell’approvazione del PNRR.
Le deleghe, contenute nei commi da 4 a 26, toccano vari ambiti sia del diritto processuale che sostanziale, ma, in questa sede, ci limiteremo a concentrare l’attenzione sugli interventi previsti in materia di processo del lavoro che, come si vedrà, non sembrano avere carattere marginale.
In particolare, il comma 11 della Legge in esame, riferito alle controversie in materia di lavoro e previdenza, detta un principio che, quale criterio direttivo di assoluta rilevanza, dovrà trovare attuazione nelle relative modifiche, ossia: “unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”.
In altri termini, il Legislatore si è posto, finalmente, il problema del come superare le difficoltà derivanti dall’applicazione del rito Fornero, relative, in particolare, al doppio binario venutosi a creare a seguito dell’entrata in vigore del c.d. Jobs Act.
Come è noto, infatti, il D. Lgs. n. 23/2015, prevede che per le impugnazioni dei licenziamenti riguardanti i rapporti di lavoro instaurati dopo la sua entrata in vigore, il rito processuale è unificato, trovando applicazione unicamente le disposizioni degli artt. 409 e ss. c.p.c, mentre per i c.d. “vecchi assunti”, continua ad applicarsi il rito Fornero.
Ad oggi, quindi, il sistema si articola in due riti diversi che, di fatto, non fanno che rendere più gravosa ed impervia per tutti, ivi compreso il lavoratore, la scelta relativa al procedimento applicabile al caso concreto, a cui consegue sempre una fitta serie di diversi adempimenti.
Dunque, a fronte di un sistema così costruito, ciò che sembrerebbe nelle intenzioni del Legislatore delegante è un ritorno al passato, attraverso la creazione di un unico procedimento in materia di impugnazione dei licenziamenti, così da semplificare e rendere più agevole l’attività processuale.
Peraltro, con la disposizione di cui alla lettera a) del citato co. 11, il Legislatore non pare intenzionato a rinunciare a quel carattere acceleratorio, costituente una delle finalità del rito Fornero.
Ed invero, tramite l’assegnazione del carattere prioritario alla trattazione delle cause di licenziamento per le quali sia proposta la domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, si mira alla creazione di una vera e propria corsia preferenziale che di fatto, dovrebbe garantire una decisione più rapida per tali controversie.
In secondo luogo, anche la lettera b) del predetto co. 11 sembra rispondere ad esigenze di certezza del diritto e semplificazione. In particolare, con riferimento alla particolare figura del socio-lavoratore della società cooperativa, si prevede testualmente che “le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anche ove consegua la cessazione del rapporto associativo, siano introdotte con ricorso ai sensi degli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile”, con ciò di fatto, ponendo termine alla annosa querelle derivante dalla natura dualistica del rapporto giuridico esistente tra il socio, altresì lavoratore e la società cooperativa. Questione che del resto, era stata al centro negli anni di un acceso e non convergente dibattito interpretativo che finalmente, il Legislatore, con tale chiara disposizione, sembra poter definitivamente appianare.
Ed ancora, la lettera c) del comma 11 in esame, prevede che “le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell’articolo 414 del codice di procedura civile, possano essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i rispettivi riti speciali di cui agli articoli 38 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, stabilendo che la proposizione dell’azione, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso”.
Anche in questo caso, l’intervento del Legislatore delegante mira pertanto a fare chiarezza in un ambito che in passato, attesa la pluralità dei mezzi processuali previsti a favore dei soggetti vittime di comportamenti discriminatori, era stato causa di diverse criticità. Con l’introduzione della norma in esame, dunque, la vittima di condotte discriminatorie potrà scegliere, in via alternativa, quale forma adottare per incardinare l’azione di nullità del licenziamento irrogatogli e, ritenuto, discriminatorio.
Precisa però la norma che, una volta proposta l’azione nell’una o nell’altra forma, sarà precluso al ricorrente agire successivamente avvalendosi di un rito diverso e ciò, a parere di chi scrive, anche in ossequio al principio di autoresponsabilità.
Passiamo ora al comma 4 lett. q) della Legge in esame che stabilisce, rimuovendo implicitamente il divieto di cui all’art. 2 co. 2 lettera b) del D.L. n. 132/2014, che il Legislatore delegato, per le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. e fermo restando il disposto dell’art. 412-ter del medesimo codice, dovrà prevedere la possibilità per le parti, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità dell’azione, di ricorrere al procedimento di negoziazione assistita di cui al D.L. n. 132/2014, convertito dalla L. n. 162/2014. Il tutto, a condizione che: i) ciascuna parte sia assistita durante il procedimento dal proprio avvocato, nonché, ove ritenuto necessario, dai rispettivi consulenti del lavoro; ii) al relativo accordo sia assicurato il regime di stabilità ex art. 2113, 4 co. c.c.
In proposito, non può che porsi immediatamente la questione del coordinamento di tale norma con il complesso apparato di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di lavoro, previsto, ad oggi, dagli artt. 410 ss. c.p.c.
Orbene, allo stato, l’unica indicazione che pare possa trarsi è quella della conferma della validità degli strumenti conciliativi previsti in sede collettiva, visto il chiaro riferimento all’art. 412-ter c.p.c.
Al contrario, per l’ulteriore e complesso apparato previsto dal codice di procedura civile, potrebbe sostenersi che l’intenzione del Legislatore delegante sia quella di sopprimere tali istituti, di fatto macchinosi e, sia consentito, poco utilizzati -se non del tutto evitati- nella pratica, a favore dell’introduzione del solo procedimento di negoziazione assistita; il tutto, al fine di garantire una certa fluidità e semplicità alla risoluzione delle controversie di lavoro, anche ove si voglia procedere in via stragiudiziale.
È evidente però che in assenza di una specifica e forte previsione legislativa, la scelta conclusiva non potrà che essere operata dal Legislatore delegato, residuando agli addetti ai lavori, la sola possibilità di caldeggiare per l’una o per l’altra opzione.
Si tratta comunque di un primissimo passo avanti, non ancora sufficiente, con il quale si è voluto tentare di ridurre il contenzioso, ma, forse, le parti, andavano ulteriormente spinte verso la possibilità dell’accordo stragiudiziale, ampliando maggiormente la misura del credito d’imposta già in essere (la Legge delega contiene delle novità in tal senso ma forse poteva farsi di più) o prevedendo che l’invito alla negoziazione assistita fosse condizione di procedibilità della domanda, avuto riguardo, quantomeno, a vicende dal minor rilievo economico.
Da ultimo, va segnalato che i processi del lavoro non potranno che subire, seppur indirettamente, gli effetti delle novità previste in via generale per il processo civile, quali ad esempio: a) il rinvio “pregiudiziale” alla Corte di Cassazione, volto ad un esercizio tempestivo ed anticipato della funzione nomofilattica della Suprema Corte, nelle ipotesi di questioni nuove, di puro diritto, di grave difficoltà interpretativa e che per loro natura, potrebbero porsi in numerose controversie; b) la previsione di un ulteriore motivo di revocazione ex art. 395 c.p.c. ogniqualvolta, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, il contenuto della stessa sia dichiarato, dalla Corte Europea Dei Diritti dell’Uomo, contrario in tutto o in parte, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o ad uno dei suoi Protocolli.
Seppure la finalità della prima delle ultime due novità citate è apprezzabile, ponendosi come obiettivo quella della uniformità dei giudizi, è da temere un utilizzo copioso di tale strumento, con inevitabile aggravio per la Suprema Corte ed un conseguente dilatarsi, anch’esso inevitabile, delle tempistiche processuali.
Queste, dunque, le novità introdotte dalla Legge delega n. 206/2021 in materia di processo del lavoro. Non resta che attendere gli interventi del Legislatore delegato, auspicando che questi possano realmente raggiungere l’obiettivo di snellire i tempi del processo, rispettando, al contempo, le prerogative fondamentali del processo del lavoro che Chiovenda, Lui si, aveva molto bene e con grande lungimiranza individuato.