Cassazione:

il datore di lavoro può modificare unilateralmente la distribuzione dell'orario lavorativo

La patologia del dipendente non osta alla modificazione della distribuzione dell’orario di lavoro da parte del datore

A cura del dott. Lorenzo Cola

L’ordinanza del 3 novembre 2021, n. 31349 pronunciata dalla Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società datrice di lavoro avverso la sentenza che aveva erroneamente censurato la scelta datoriale di modificare, unilateralmente, la distribuzione dell’orario di lavoro.

La dipendente aveva in altro giudizio ottenuto, con sentenza del Tribunale di Torino passata in giudicato, l’accertamento del proprio diritto ad osservare un orario di lavoro spezzato, in ragione delle patologie dalle quali era affetta (cefalea cronica ad andamento giornaliero e sindrome ansioso-depressiva).

Successivamente, il datore di lavoro modificava la posizione della lavoratrice, la quale, fino a quel momento, era addetta al montaggio di piastre con un orario spezzato dalle ore 8,00 alle ore 12,25 e dalle ore 14,00 alle ore 17,30, in un reparto differente, assegnandole mansioni da svolgere in piedi – addetta allo stampaggio – con un orario di lavoro continuo dalle 14,00 alle 22,00. Tale assegnazione ad un reparto diverso con orario continuo era avvenuta in ragione della imminente dismissione del macchinario di cui la stessa si serviva.

La Suprema Corte ha motivato la propria decisione affermando che “la collocazione ed il successivo spostamento del personale nei vari reparti dell’azienda è un momento essenziale del potere autorganizzativo del datore di lavoro, di per sé sottratto ai limiti dei trasferimenti e, quindi, non sindacabile in mancanza di specifici elementi che evidenzino una discriminazione o una mera vessazione del prestatore di lavoro”. Elementi, questi, certamente estranei al caso di specie.

 

Secondo la Corte di Cassazione, anche la modifica unilaterale, da parte del datore, della distribuzione dell’orario di lavoro – e non anche la modifica unilaterale della sua durata – correlata allo spostamento della lavoratrice in un diverso reparto rientra nell’ambito di esercizio del potere discrezionale del datore di lavoro di organizzare liberamente l’impresa, almeno per quanto riguarda i rapporti di lavoro full-time. L’unico limite è rappresentato dall’abuso del diritto e dalla violazione delle clausole generali di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c., nonché dall’effettività delle ragioni d’impresa poste alla base della nuova distribuzione dell’orario di lavoro, il cui onere della prova è a carico del datore di lavoro.

I fatti in questione non integrano alcuna violazione del principio di buona fede e di leale collaborazione, in quanto la dipendente non ha dimostrato la sussistenza di alcun atto emulativo nei suoi confronti, né di specifiche ragioni ostative allo svolgimento di turni notturni o motivi personali e familiari.

Né il potere datoriale di modificare unilateralmente la distribuzione dell’orario di lavoro poteva dirsi limitato dalla sentenza intervenuta tra le stesse parti, atteso che la suddetta pronuncia era fondata sull’accordo tacito fra le parti che, solamente, consente di proseguire con l’orario spezzato anche dopo l’introduzione dei turni. Pertanto, tale sentenza non riconosce un diritto assoluto della lavoratrice ad osservare l’orario spezzato.

Dunque, non sussistendo una comprovata inidoneità fisica della dipendente a lavorare con un orario diverso da quello spezzato che seguiva in precedenza, e non sussistendo motivi personali ostativi all’assegnazione all’orario continuato dalle ore 14,00 alle ore 22,00, la modifica della distribuzione dell’orario di lavoro non integra una violazione dei principi generali di correttezza e buona fede.

 

Alla luce delle conclusioni cui è pervenuta la Suprema Corte, si può pertanto affermare che non necessariamente una limitazione fisica deve comportare, parallelamente, una riduzione della facoltà dell’imprenditore di modificare, opportunamente, la propria struttura organizzativa.