“Sciopero pignolo” e licenziamento disciplinare: l’ostruzionismo in mala fede nei confronti del superiore non costituisce una legittima astensione dalla prestazione di lavoro
A cura del dott. Lorenzo Cola
Il Tribunale di Forlì, con la recente sentenza n. 147/2021, ha stabilito che la pedante e cavillosa applicazione di direttive e regolamenti finalizzata esclusivamente a creare maliziosamente un intralcio al responsabile, costituisce giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c.
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare del dipendente che, insieme ad altri colleghi, aveva volutamente rallentato il lavoro per arrecare un pregiudizio all’organizzazione dello stesso e per mettere in difficoltà il suo responsabile, del quale da tempo chiedeva la rimozione. Infatti, il lavoratore aveva posto in essere una condotta caratterizzata dal rifiuto di svolgere le attività, a sua detta, contrarie alle norme sulla sicurezza che normalmente disimpegnava su richiesta del datore, arrecando un danno all’impresa connesso al rallentamento della produzione.
Il Tribunale di Forlì ha considerato tale comportamento come una manifestazione di scarso rendimento. Infatti, secondo l’organo giudicante, l’applicazione cavillosa di direttive in materia di sicurezza ed il conseguente rifiuto di svolgere la prestazione di lavoro configura, in questo caso, un illegittimo “sciopero alla rovescia”, poiché quest’ultimo è volto esclusivamente a rallentare il lavoro contro il superiore gerarchico inviso ai dipendenti coinvolti. Tanto in quanto la questione “sicurezza” non era mai stata, in precedenza, oggetto di discussione tra le parti.
Pertanto, anche in considerazione della violazione degli obblighi di buona fede e diligenza che fanno capo al lavoratore, nonché a causa della gravità del fatto – rappresentata dalla dimostrazione di totale disinteresse verso le ragioni produttive dell’impresa –, si è avverato un inadempimento contrattuale con negative ripercussioni sulla ordinaria attività lavorativa.
La ricaduta del comportamento in questione era stata grave, atteso che i tempi di esecuzione della specifica attività lavorativa erano stati superiori del 50% rispetto a quelli in media impiegati. Profilo, questo, ritenuto, correttamente, rilevante dal Tribunale e, come tale, proprio della giusta causa di recesso.
Ora, la summenzionata sentenza ha posto un distinguo tra legittima astensione dal lavoro dovuto al rispetto delle norme in materia di sicurezza, ed ostruzionismo in mala fede ai danni dell’azienda.
Per il Tribunale di Forlì, il c.d. “sciopero pignolo” si configura qualora il lavoratore ponga in essere una eccessiva e sovrabbondante, ma soprattutto pretestuosa, attenzione all’applicazione di direttive imprenditoriali e discipline normative, come quella afferente la sicurezza nei luoghi di lavoro. In tal caso, si esula dall’esercizio del diritto di astensione motivata e si sconfina nello scarso rendimento, atteso che il rallentamento della propria attività è volto esclusivamente ad ostacolare il capo.
Pertanto, citando la sentenza in questione, “la non collaborazione, l’ostruzionismo e il cosiddetto sciopero pignolo o alla rovescia, consistente nella applicazione pedante e cavillosa di direttive e regolamenti, costituiscono condotte diverse dalla mera astensione dal lavoro e, quindi, non riconducibili alla nozione di sciopero, bensì da valutarsi nella prospettiva del corretto adempimento della prestazione effettivamente dovuta in base alla prescritta diligenza e buona fede”.