Le Noterelle Operative Maggio 2025
1) Illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo per contestazione generica e tardiva e per contraddittorietà della condotta datoriale (Tribunale Milano, Sez. Lavoro, 24 febbraio 2025, n. 886).
A cura di Paolo de Berardinis e Anna Saioni
Con la sentenza n. 886 del 2025 il Tribunale di Milano, accogliendo il ricorso di un dipendente licenziato per asseriti gravi inadempimenti nello svolgimento di un incarico professionale, ha dichiarato illegittimo il licenziamento per difetto di specificità e tempestività della contestazione disciplinare, oltre che per la condotta incoerente e contraddittoria tenuta dal datore di lavoro.
Il giudizio attiene ad un lavoratore di alto “rango”, un quadro in forza presso una Società automobilistica, incaricato di elaborare, nel corso del 2023, un progetto di monitoraggio dei servizi di customer care sui mercati europei. Il datore di lavoro, pur avendo più volte rilevato ritardi e criticità nell’attività svolta dal dipendente, ha continuato a fissare nuove scadenze e appuntamenti di verifica. Tuttavia, il 17 novembre 2023, in occasione di una riunione programmata per discutere dell’avanzamento del progetto, l’interessato riceveva una lettera di contestazione disciplinare e, contestualmente, veniva privato degli strumenti aziendali, perdendo la possibilità di illustrare il lavoro che dichiarava di aver ultimato.
Con lettera del 29 novembre 2023, a conclusione dell’iter disciplinare, la Società ha irrogato la sanzione del licenziamento per giustificato motivo soggettivo ex art. 3 della Legge n. 604/1966, imputandogli, oltre ai reiterati ritardi e negligenze nel compimento dell’incarico di cui si è detto, la mancata proficua esecuzione al progetto con la necessità dell’intervento sostitutivo dei suoi superiori per ovviare alla situazione.
Il lavoratore ha adito il Tribunale di Milano, il quale ha dichiarato il licenziamento illegittimo per insussistenza del fatto contestato e violazione dei principi di correttezza e buona fede. In particolare, il Giudice ha rilevato che:
– la contestazione disciplinare era da ritenersi generica e tardiva, priva di riferimenti concreti a fatti, tempi e modalità propri delle presunte inadempienze. Ciò ha reso “difficile la difesa del dipendente”;
– la condotta aziendale è stata incoerente e contraddittoria. Ed infatti, se da un lato la Società ha tollerato ritardi e concesso proroghe, dall’altro ha improvvisamente proceduto al licenziamento senza esaminare il progetto finale, nonostante il lavoratore avesse manifestato la disponibilità a presentarlo. La reiterata condotta del datore di lavoro avrebbe ingenerato nel dipendente un legittimo affidamento. Nella pronuncia viene detto a tal proposito: “Così facendo, ha creato nello stesso (lavoratore) l’aspettativa che la Società
potesse tollerare un ulteriore ritardo e quindi attendere oltre. Il repentino mutamento di intenti, che ha portato C1 alla contestazione, si risolve in un comportamento contrario a buona fede e correttezza”;
– il datore di lavoro non ha adempiuto all’onere probatorio, non producendo in giudizio il progetto finale né consentendo la sua acquisizione, avendo riassegnato il compito ad altro lavoratore senza alcuna verifica, nonostante le ripetute dichiarazioni del quadro circa l’esistenza e la disponibilità dell’elaborato.
Per tali ragioni, il Tribunale ha dichiarato il licenziamento illegittimo e ordinato la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto.
Osservazioni operative
Si è scelta la sentenza sopra commentata in quanto presenta elementi che consentono di rilevare come il procedimento disciplinare vada concepito in modo sistematico. Di modo che ai noti, ripetuti, principi della specificità, debbano affiancarsi comportamenti coerenti, sicché ciò che più volte si tollera nell’ambito di un medesimo contesto, non può – senza una significativa ragione – divenire oggetto di contestazione grave al punto da ingenerare un provvedimento espulsivo.
Seppure la tolleranza è stata, più volte, ritenuta non rappresentare una forma di accettazione del comportamento inadempiente, è bene non tralasciare azioni (i.e. comunicazioni) che possano puntualizzare lo stato delle cose. In tal modo il prestatore potrà dirsi edotto in ordine alla valutazione del suo datore di lavoro che, contestando l’ennesimo ritardo, non avrebbe repentinamente cambiato rotta.
2) Oltre la visura camerale: la prova del requisito dimensionale nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Cass. Civ., Sez. Lav., Ord. 22 maggio 2025, n. 13689).
A cura di Paolo de Berardinis e Anna Saioni
La vicenda processuale esaminata e decisa dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 13689/2025, riguarda l’impugnazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 L. n. 604/1966, intimato ad un dipendente da parte di una Società in liquidazione, ponendosi particolare attenzione alla questione – tutt’altro che secondaria – del requisito dimensionale dell’impresa, ai fini dell’applicazione dell’art. 18 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori).
La Corte di legittimità, ricordando l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, ha preliminarmente chiarito che la dimensione dell’impresa rappresenta un cd. “fatto impeditivo” dell’applicabilità della tutela reale, e come tale deve essere provato dal datore di lavoro. Al contrario, il lavoratore ha soltanto l’onere di dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro e l’illegittimità dell’atto espulsivo.
Tale ricostruzione si fonda su un principio di ragionevolezza e di equilibrio processuale, noto come prossimità delle prove; infatti il dipendente non ha accesso a risultanze documentali che provano la consistenza occupazionale dell’azienda, né può essere onerato della prova negativa su tale fondamentale circostanza.
Alla luce di tali considerazioni, gli Ermellini hanno affermato che la visura camerale, in quanto mera riproduzione di dati forniti dall’impresa stessa, non sottoposti ad alcuna verifica pubblica, non può costituire da sola una prova del requisito dimensionale, come aveva ritenuto la Corte di appello che aveva accolto l’eccezione del datore di lavoro.
L’errore della Corte territoriale – secondo la Cassazione – è consistito nell’aver attribuito alla visura camerale un valore indiziario qualificato e, al contempo, nell’aver invertito l’onere della prova a carico del lavoratore, onerandolo ingiustamente di contestare tale (insufficiente) dichiarazione.
La prova del requisito dimensionale non può essere fondata su un singolo indizio, quale la visura camerale, ma deve emergere da un quadro probatorio più coerente e articolato. Tra gli elementi idonei a concorrere a tale prova, la Corte richiama: relazioni redatte da amministratori giudiziari, deposizioni testimoniali assunte d’ufficio, e ogni ulteriore documentazione contabile o gestionale atta a rappresentare fedelmente la struttura occupazionale dell’azienda per quanto attiene al dato numerico occupazionale.
Osservazioni operative
Sebbene il principio dell’onere probatorio dimensionale a capo del datore di lavoro fosse già stato affermato in precedenza (Cass., SS.UU., 10 gennaio 2006, n. 141; Cass., Sez. Lav., 29 dicembre 2022, n. 38029), la pronuncia in oggetto contribuisce a fare ulteriore chiarezza, delineando una mappa precisa degli elementi documentali che possono costituire prova della soglia dimensionale rilevante.
Anche il Tribunale di Firenze ha ritenuto che non siano sufficienti mere attestazioni formali (es. verbali ispettivi) circa il numero di dipendenti presenti in un determinato momento. Ciò che è richiesto è una documentazione in grado di restituire una fotografia fedele della struttura occupazionale complessiva (Trib. Firenze, 19 giugno 2018, n. 425).
Tra i documenti utili a tal fine, si possono annoverare:
– bilanci consuntivi;
– registro dei dipendenti;
– comunicazioni obbligatorie UNILAV;
– cedolini paga;
– contratti individuali di lavoro.
Tale onere probatorio assume rilevanza cruciale in quanto dalla soglia dimensionale discende non solo la scelta tra tutela risarcitoria e reintegratoria in caso di licenziamento illegittimo. Va aggiunto, sempre sul piano processuale che detto onere (di contestazione della applicazione della cd. tutela reale, attesa la presenza di meno di 15 lavoratori dipendenti) può essere assolto nel modo sopra indicato, solo a seguito di una tempestiva eccezione da sollevare già in sede di memoria di costituzione.