Rassegna Stampa dBM

SOPPRESSIONE PARZIALE DELLE MANSIONI: CONDIZIONI DI LEGITTIMITA’ DEL LICENZIAMENTO ED ONERE PROBATORIO, a cura di Giovanna Flora Ragusa

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 2739 del 30 gennaio 2024, si è espressa in merito alla legittimità del licenziamento intimato in ragione della soppressione parziale delle mansioni svolte da un lavoratore, fornendo un’interessante opinione in merito agli oneri probatori gravanti sul datore di lavoro, con riferimento alle attività residuali che il lavoratore licenziato avrebbe potuto continuare a svolgere.
In particolare, la pronuncia esamina il caso di una lavoratrice avente mansioni di centralinista, licenziata per motivo oggettivo, dovuto alla soppressione della posizione lavorativa dalla medesima ricoperta, a seguito dell’introduzione, da parte dell’azienda datrice di lavoro, del sistema automatico di risposta telefonica.
Le residuali mansioni di smistamento delle telefonate, dalla medesima svolte, erano state ridistribuite all’interno dell’ufficio.
La Corte d’Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva ritenuto legittimo il predetto licenziamento, con la motivazione che alla dipendente erano affidate le mansioni di centralinista e che gli ulteriori compiti alla stessa attribuiti rivestivano carattere di residualità e di occasionalità, per cui l’introduzione del sistema automatico di risposta telefonica “era stato posto legittimamente dalla società quale elemento organizzativo produttivo integrante l’ipotesi di motivo oggettivo del licenziamento intimato”, posto che l’attività di smistamento delle telefonate era divenuta per l’azienda “non più proficuamente utilizzabile”, potendo conseguentemente le mansioni residuali “essere redistribuite all’interno dell’Ufficio”.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha confermato la decisione della Corte d’Appello, affermando in proposito il seguente principio: “non è in discussione che, ai fini della configurabilità della ipotesi di soppressione del posto di lavoro, integrante il giustificato motivo oggettivo di recesso, non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, nel senso della loro assoluta e definitiva eliminazione nell’ottica dei profili tecnici e degli scopi propri dell’azienda di appartenenza, atteso che le stesse ben possono essere soltanto diversamente ripartite e attribuite nel quadro del personale già esistente, secondo insindacabili e valide, o necessitate, scelte datoriali relative ad una ridistribuzione o diversa organizzazione imprenditoriale, senza che detta operazione comporti il venir meno della effettività di tale soppressione”.
In proposito va tenuto in considerazione che alla soppressione parziale del posto consegue necessariamente una (maggiore o minore) attività residuale, cui il lavoratore licenziato avrebbe potuto essere adibito, avendola già espletata in precedenza.
Si pone pertanto il tema della previa verifica sulla concreta adibibilità del prestatore a disimpegnare, eventualmente in part-time, quella parte residua della prestazione.
Tale verifica va compiuta esaminando le ragioni tecnico-produttive, ivi compresa l’economicità e la possibilità dell’espletamento ridotto. Qualora detto accertamento fosse negativo, allora risulterà legittima l’intimazione del recesso e la redistribuzione delle mansioni residue tra altri dipendenti.
La pronuncia in commento indica dunque i criteri ed i parametri in base ai quali ritenere sussistente la possibilità di un utilizzo parziale del prestatore nella medesima posizione lavorativa, se del caso anche in regime di part-time.

A tal fine la Corte di Cassazione precisa che “è necessario che le mansioni diverse da quelle soppresse rivestano, nell’ambito del complesso dell’attività lavorativa svolta, una loro oggettiva autonomia, non risultino cioè intimamente connesse con quelle (prevalenti) soppresse, in modo che possa ritenersi che il residuo impiego, anche part time, nelle mansioni non soppresse, non finisca per configurare la creazione di una diversa ed autonoma posizione lavorativa, con indebita alterazione dell’organizzazione produttiva”.
In altri termini: qualora l’attività – pur minoritaria – non oggetto di soppressione, sia effettivamente ed oggettivamente autonoma rispetto alle mansioni soppresse, allora – a detta della Suprema Corte- l’Azienda potrebbe continuare ad impiegare parzialmente il prestatore nella medesima posizione lavorativa, eventualmente in regime di orario ridotto, senza però dover effettuare una “indebita alterazione dell’organizzazione produttiva”.
Di contro, l’Azienda potrà legittimamente recedere dal rapporto di lavoro, qualora le mansioni non soppresse siano svolte “in via sostanzialmente ausiliaria o complementare” rispetto a quelle oggetto di soppressione, nonché quando “abbiano un carattere residuale non quantitativamente rilevante, occasionale, promiscuo e ancillare rispetto ai compiti di altri dipendenti”.
Pertanto, nel caso in cui le imprese abbiano intenzione di intimare il licenziamento nei confronti di un dipendente, in ragione della parziale soppressione delle mansioni dal medesimo svolte, è opportuno che le stesse abbiano cura di valutare la possibilità di comunicare il recesso, avendo poi a disposizione quegli elementi oggettivi che attestino l’effettiva insussistenza della possibilità di adibire il prestatore allo svolgimento delle residue mansioni non soppresse, neppure in regime di orario di lavoro ridotto.
In pratica andrà provato che le attività non oggetto di soppressione abbiano un carattere del tutto residuale e non rilevante, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, potendo dunque essere svolte da altri dipendenti già in forza, in aggiunta ai propri compiti.
E’ altresì consigliabile che le aziende siano in grado di dimostrare, sul piano oggettivo e concreto, che eventuali modifiche organizzative, necessarie al fine di consentire al dipendente in questione di continuare ad espletare le proprie mansioni residue, comportino la creazione di una diversa ed autonoma posizione lavorativa, così determinando un’ingiustificata alterazione dell’organizzazione produttiva.

Tanto consentirà di provare che la soppressione parziale delle mansioni del lavoratore sia stata legittimamente indicata dalla società quale elemento organizzativo produttivo integrante l’ipotesi di motivo oggettivo del licenziamento, posto che le residue attività, del tutto marginali, ben possono essere redistribuite tra altri dipendenti.

 

PUBBLICATO SU SMARTMAG IL 9.3.2024

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