Rassegna Stampa

ESTENSIONE DELL’OBBLIGO DI REPECHAGE ANCHE ALLE POSIZIONI DI LAVORO FUTURE, a cura di Paolo de Berardinis e Sara Ferrandino

In una recentissima decisione la Corte di Cassazione (sentenza n. 12132/2023 pronunciata in data 8.5.2023) ha fornito una nuova, più estensiva, interpretazione dell’obbligo di repêchage afferente il datore di lavoro in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto alla soppressione della posizione lavorativa, estendendo la portata di tale obbligo anche a circostanze future che siano prevedibili al momento dell’intimazione del recesso.

Il repêchage (ovvero, il ripescaggio) è un obbligo di matrice giurisprudenziale, posto a carico del datore di lavoro che procede al licenziamento per giustificato motivo oggettivo vale a dire quello determinato “da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (art. 3, legge 15 luglio 1966 n. 604).

Perché il licenziamento possa essere ritenuto legittimo, sicché esente da quelle che sono le conseguenze della legittimità, ivi compreso l’ordine di reintegrazione, il datore di lavoro dovrà accertarsi che all’atto del recesso non esistano in azienda altre posizioni di lavoro equivalenti, ovvero inferiori ove lo stesso potesse essere utilmente inserito secondo un criterio orizzontale. Si tenga conto che successivamente alla modifica dell’art.2103 cod. civ., con l’ampliamento del concetto di categoria legale, in giurisprudenza è emerso come indirizzo prevalente quello di richiedere una verifica anche relativamente alle mansioni inferiori ed anche della riduzione dell’orario di lavoro, al fine di escludere definitivamente che il datore di lavoro non avesse altra soluzione che quella del licenziamento.

Questa posizione giurisprudenziale, così estesa, è figlia dell’idea che il licenziamento rappresenti la extrema ratio (Cass. 11/5/2000 n. 6057) e che il rapporto di lavoro debba essere conservato per quanto possibile. La conseguenza di tale posizione è che l’onere della prova, che fa capo al datore di lavoro per intero, venga considerato con estrema severità. Sicché l’intera delegazione dovrà essere estremamente completa sia per quanto attiene la documentazione, vuoi per gli elementi di fatto necessari a corroborare l’adempimento dell’obbligo, dunque a dimostrare che altre posizioni di lavoro non era presenti ovvero che, a fronte di una proposta di diverso collocamento, sia stato il lavoratore stesso ad aver rinunciato alle nuove mansioni appartenenti, o meno, alla medesima categoria legale inziale.

Questo orientamento ha portato all’affermarsi della regola di un equilibrato contemperamento, in materia, tra gli interessi del datore di lavoro e quelli del lavoratore, in un’ottica solidaristica e di buona fede nei relativi rapporti (si veda Cass. 2/8/2001 n. 10574).

Prima ancora dell’intervento della Cassazione con la sentenza in commento, da tempo la giurisprudenza di legittimità e di merito si erano uniformate nel ritenere illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto alla soppressione del posto di lavoro, laddove a seguito di nuove assunzioni, in grado di decostruire la base fondante del recesso stesso, tanto sia nel caso di assunzioni relative a medesime mansioni o inquadramento, sia nel caso di assunzione in altri reparti ma in grado di confutare le ipotesi di riorganizzazione o di crisi aziendale. In tali casi il licenziamento è da ritenersi illegittimo in quanto privo di giustificato motivo oggettivo.

In tale ambito si colloca il più recente orientamento della Suprema Corte. Si tratta di un ulteriore ampliamento dell’obbligo di repêchage che investe anche le possibili posizioni future che verranno di li a poco a liberarsi in azienda. Nella motivazione della pronuncia si legge che la condotta datoriale debba essere “improntata a buona fede e correttezza nel verificare in concreto l’esistenza nella sua organizzazione di posizioni disponibili a cui adibire il lavoratore il cui posto sia stato soppresso” e per tale ragione si “dovrà prendere in esame anche quelle posizioni lavorative che, pur ancora coperte, si renderanno disponibili in un arco temporale del tutto prossimo alla data in cui viene intimato il recesso”, considerando anche le riorganizzazioni aziendali in corso d’opera.

Nel caso di specie, al momento dell’intimazione del licenziamento, il datore di lavoro non aveva tenuto conto delle dimissioni rassegnate da due dipendenti che svolgevano mansioni analoghe a quelle del dipendente, con un termine di preavviso destinato a concludersi in un arco temporale brevissimo e con conseguente necessità di provvedere alla loro sostituzione, ciò che in fin dei conti avrebbe potuto essere fatto ripescando il lavoratore licenziato.

Risulta evidente, nonché sperabile, che tale orientamento venga sempre collegato a situazioni di carattere oggettivo quali quelle sopra descritte, dove lo spazio temporale fra licenziamento e nuove assunzioni, da ciò che ci legge, sembrerebbe realmente contiguo. Diversamente, il datore di lavoro si troverebbe di fronte ad un onere probatorio estremamente ed eccessivamente penetrante con riguardo all’organizzazione aziendale, e piuttosto difficile da fornire. Nel contempo, la pronuncia consente di comprendere che il precedente orientamento giurisprudenziale, che vedeva la cristallizzazione della situazione al momento del recesso, possa ritenersi superato ed è necessario, pertanto, volgere lo sguardo verso concrete ed  imminenti opportunità occupazionali. Dovendo porsi la domanda sul cosa possa intendersi per disponibilità “imminente”, nel caso è rappresentata dalle dimissioni già rassegnate da parte di altri dipendenti.

Ciò che, ad avviso di chi scrive, è necessario evitare è che vi sia una sorta di radicalizzazione del principio tale da consentire al giudice del lavoro di sostituirsi all’imprenditore nel verificare se le professionalità mancanti debbano essere necessariamente sostituite: ciò può essere evitato attraverso un esame preventivo che il datore di lavoro deve compiere, nel suo stesso interesse, per evitare che la lettura della situazione si presti a valutazioni negative.

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