L’approfondimento: Assenteismo e permessi aziendali. Utilizzo fraudolento e abuso del diritto
I lavoratori dipendenti hanno diritto di assentarsi dal lavoro, usufruendo di appositi permessi retribuiti, per diversi motivi disciplinati dalla legge o dalla contrattazione collettiva, tra i quali i congedi a tutela della genitorialità (D.Lgs. 151/2001) ed i permessi per l’assistenza a familiari portatori di handicap (L. 104/1992).
Il congedo parentale, così come il diritto ai permessi di cui alla L. 104/92, è un diritto potestativo, da esercitare previo preavviso al datore di lavoro e che comporta una soggezione da parte del datore di lavoro. Il datore di lavoro non ha titolo per poter sindacare la richiesta di permesso/congedo e non può opporre un rifiuto alla concessione, poiché il procedimento per usufruire del permesso retribuito non prevede infatti la contrapposizione dei motivi organizzativi da parte dell’azienda. È infatti l’ente previdenziale che concede il trattamento al lavoratore previa sussistenza dei requisiti di legge.
Il datore di lavoro può solo ex post verificare la sussistenza di un utilizzo improprio dei permessi e congedi concessi ai propri dipendenti e nelle ipotesi in cui dovesse accertarne l’abuso, procedere alla sua contestazione con il rispetto dei requisiti sostanziali (la prova della materiale violazione) e degli elementi formali.
La giurisprudenza è piuttosto rigida nel valutare la posizione di chi utilizza per fini diversi i permessi e i congedi, e con numerose sentenze ha stabilito che l’uso improprio del permesso e/o congedo giustifica il licenziamento per giusta causa, in quanto compromette irrimediabilmente il vincolo fiduciario per la prosecuzione del rapporto di lavoro, sia per la particolare odiosità della condotta, sia per il disvalore sociale di condotte che, di fatto, scaricano il costo dell’abuso sull’intera collettività (Ex multis: Cassazione Civile, sez. Lavoro, nn. 9217/2016, 9746/2016, 17968/2016).
La Corte di Cassazione ha statuito che “la condotta del lavoratore non compatibile con le motivazioni assistenziali che sono alla base della concessione dei permessi di cui alla L. 104/1992, dimostrando un sostanziale disinteresse del lavoratore per le esigenze aziendali, è tale da integrare una grave violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro, di cui agli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c., idonea a legittimare il recesso per giusta causa del datore di lavoro” (Cass. Civile, sez. Lavoro, n. 5574/2016, in Notiziario di giurisprudenza del lavoro, n. 5/2016).
L’utilizzo dei permessi per fini diversi da quelli per i quali sono stati concessi, se da un lato quindi è causa di licenziamento disciplinare, dall’altro, costituisce anche un’indebita percezione del trattamento economico ai danni dell’Inps e può integrare gli estremi dei reati penali di falso e truffa e legittimare l’Inps al recupero delle prestazioni già erogate. La Corte di Cassazione, sezione Penale, ha recentemente affermato che “(…)risponde del reato di truffa il lavoratore che, avendo chiesto e ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li utilizzi per recarsi all’estero in viaggio di piacere, non prestando, quindi, alcuna assistenza”.
La condotta illecita del lavoratore configura pertanto un abuso del diritto, sia di natura privatistica (nei confronti del datore di lavoro) sia di natura pubblicistica (nei confronti dell’ente previdenziale).
Il diritto al congedo parentale e l’assistenza a familiare disabile
L’assistenza prestata dal lavoratore al familiare disabile e il congedo parentale devono porsi in nesso causale diretto con lo svolgimento delle attività qualificabili come assistenza e devono
essere effettivi, ovvero utilizzati per i soli fini previsti dalla legge e presentare i caratteri della sistematicità e dell’adeguatezza. Il lavoratore che usufruisce del diritto al permesso retribuito, indipendentemente dall’orario di lavoro svolto in azienda, deve assicurare l’assistenza sia in termini di tempo impiegato, sia in termini di fascia oraria e di durata della permanenza.
Sotto tale punto di vista il permesso deve essere correlato al 100% con l’attività di assistenza, non essendo sufficiente prestare assistenza per una percentuale inferiore al 100% del monte ore, poiché la legge non indica quale sia il livello di percentuale minimo richiesto affinché la condotta assistenziale possa legittimamente rapportarsi ai permessi. In un recente caso affrontato dallo Studio, il Tribunale ha ritenuto irrilevante l’assunto del lavoratore circa la corrispondenza dell’utilizzo del permesso retribuito solo in corrispondenza con il turno di lavoro a cui avrebbe dovuto essere adibito il lavoratore. Sul punto, la Corte di Appello, confermando la sentenza di primo grado, ha affermato che “una volta chiesto il congedo parentale con il dovuto preavviso previsto dalla legge (minimo 1 giorni), il congedo dal lavoro per le giornate lavorative interessate, non ha più alcun senso parlare di turno di lavoro (mattutino o pomeridiano), dal momento che concretamente, come osservato già dal primo Giudice, il ricorrente non era stato inserito in alcun turno, non essendosi reso disponibile nella giornata interessata per alcuno dei turni previsti, circostanza che necessariamente doveva aver indotto la società a rivedere l’intera turnazione, (…)” (Corte di Appello di Napoli, sentenza 2069/2017).
I permessi per l’assistenza ovvero i congedi parentali sono riconosciuti al solo fine di un’assistenza diretta del minore/familiare disabile da parte del genitore/familiare che ne beneficia e non anche ai fini di un’assistenza indiretta (o per di più delegata), neppure se lo richieda la necessità di svolgimento di un’altra attività di lavoro per impellenti esigenze economiche della famiglia. In particolare, il congedo parentale onde garantire con la propria presenza il soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e della sua esigenza ad un pieno inserimento nella famiglia, non attiene a ragioni puramente fisiologiche del minore, ma, specificamente, intende appagare i suoi bisogni affettivi e relazionali onde realizzare il pieno sviluppo della sua personalità sin dal momento della nascita.
La giurisprudenza ha ritenuto legittimo l’utilizzo dei permessi per una cd. finalità mista (ovvero di assistenza alla persona e alla famiglia in generale), legittimando in tal senso sia un’assistenza diretta che indiretta che “implica non solo il soccorso materiale e morale ma anche il compimento di tutte quelle attività quotidiane necessarie a garantire una vita dignitosa al disabile, nel caso di specie, provvedendo il lavoratore a gestire la casa ove la disabile vive, a somministrarle i pasti, a fare la spesa, nonché ad accudire il fratellino” (Tribunale di Busto Arsizio, sentenza n. 233/2017).
I controlli del datore di lavoro per l’accertamento dell’illecito
Il datore di lavoro che deve accertare l’abuso dell’esercizio del diritto del dipendente, deve provare l’irregolarità dell’attività di assistenza prestata dal lavoratore. Sotto tale punto di vista occorre quindi esaminare la condotta del beneficiario dei permessi e/o congedi e verificare quindi l’effettivo utilizzo dei permessi e le modalità dell’assistenza prestata.
Chiedere un permesso retribuito per dedicarsi ad altro costituisce un abuso. Prestare altra attività lavorativa, partecipare ad un corso di formazione, presentarsi ad una visita medica o impiegare il permesso semplicemente quale giustificazione di un’assenza, sono tutti comportamenti che costituiscono abuso del diritto al permesso retribuito.
L’accertamento della condotta ben può essere eseguito attraverso un incarico alle agenzie investigative debitamente autorizzate, con conseguente utilizzabilità delle relative prove che possono essere poste alla base del recesso. Sul punto, il fondato timore dell’azienda che individua la condotta illecita del dipendente, giustifica il ricorso ai controlli per mezzo di investigatori privati, che non sono preclusi dalle legge, in quanto non attengono al controllo dell’esercizio della prestazione lavorativa, essendo eseguiti al di fuori dell’orario di lavoro ed in una fase di sospensione dell’obbligazione principale gravante sul lavoratore.
Le disposizioni (artt. 2 e 3 della legge n. 300/1970) che delimitano – a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali – la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi – e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3) – non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (quale, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalle guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica. Tuttavia, il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (Cassazione 4984/2014).
Il risvolto pratico
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, al fine di procedere con un provvedimento espulsivo nei confronti del lavoratore che abbia abusato del diritto alla fruizione dei permessi/congedi, è importante da un lato accertare l’effettiva condotta assunta nel caso di specie per valutarne l’idoneità a configurare un’ipotesi di giusta causa.
di licenziamento e, dall’altro, ai fini della legittimità del controllo difensivo eventualmente attuato mediante agenzia investigativa, è necessario provare, anche per presunzioni, il legittimo sospetto dell’azienda nei confronti del lavoratore che utilizza impropriamente i permessi e/o i congedi. In via preventiva, si sottolinea inoltre come, nel momento in cui l’azienda riceve la richiesta di permesso retribuito da parte del lavoratore, non debba procedere, nei giorni di premesso e/o congedo, con l’inserimento del lavoratore in specifici turni di lavoro (o comunque deve inserire il lavoratore in turni centrali nella giornata lavorativa), provvedendo sin dalla richiesta alla sua sostituzione, onde evitare strumentali difese da parte dello stesso, nel ritenere legittimo ed effettivo il diritto al permesso/congedo, solo per la parte di tempo nel quale avrebbe svolto la prestazione in azienda.