Periodo di comporto: comunicazione delle assenze, a cura di Irene Nisio
Il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce una delle ipotesi più oggettive di recesso, essendo ancorato ad elementi estremamente concreti (i.e. il computo dei giorni di assenza di malattia). Ciò nonostante spesso vi sono insidie per il datore di lavoro, che deve fare i conti con una giurisprudenza particolarmente attenta a garantire tutela al dipendente, imponendo al datore di lavoro stesso diversi oneri pur se non direttamente disciplinati dalle disposizioni di legge ovvero dalla contrattazione collettiva. Si pensi, ad esempio, a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 9095/2023. Con la testé citata pronunzia la Cassazione ha affermato che costituisce “discriminazione indiretta” l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, nonostante il CCNL applicato non prevedesse un periodo di conservazione del posto di lavoro differenziato in relazione alle assenze dei lavoratori disabili cagionate dalla loro particolare condizione.
Venendo allo specifico tema della comunicazione delle assenze, verso la fine dello scorso anno i Giudici di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. lav., 2.10.2023, n. 27768) hanno ribadito che, in base alle regole dettate dall’art. 2 della Legge n. 604/1966 relativamente alla forma dell’atto ed alla comunicazione dei motivi del recesso, qualora nella lettera licenziamento non si precisino le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento.
Il testé citato principio, afferma la Suprema Corte, trova applicazione anche per il licenziamento per superamento del periodo di comporto, non essendo dettata nessuna norma speciale al riguardo dall’art. 2110, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento sarà ritenuto illegittimo.
Al fine di evitare a priori problemi di sorta, è bene che il datore di lavoro, sin dall’atto di intimazione del recesso, precisi non soltanto il numero totale delle assenze cumulate dal dipendente, ma dettagli in modo schematico i giorni di assenza, conteggiati sulla base della certificazione medica in suo possesso.
Ciò anche in applicazione dei principi di correttezza e buona fede – che sorreggono i rapporti di lavoro per tutta la loro durata – nonché per dovere di “trasparenza” nei riguardi del lavoratore, il quale avrà modo, nell’immediatezza, di poter verificare l’effettivo superamento del periodo di comporto.
Tanto consentirà di superare, sempre possibili, situazioni problematiche.
PUBBLICATO 8.2.2024 SU FILODIRITTO
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