Contratti di agenzia e Covid:

Effetti della ridotta mobilità sul lavoro degli agenti

Il rapporto di agenzia al tempo del Covid

Di seguito il contributo a firma dell’avv. Maria Grazia Papandrea, pubblicato da Diritto24, che tratta il tema del contratto di agenzia, una di quelle fattispiecie giuridiche in cui la mobilità del prestatore è un tratto essenziale dell’attività e che, per l’emergenza sanitaria in corso, non può essere svolta nelle consuete modalità.

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L’attuale situazione di emergenza sanitaria da Covid-19 e le correlate misure adottate dal Governo italiano su tutto il territorio della Repubblica si riflettono, anche, sui rapporti di lavoro autonomo e parasubordinato che, salva una norma di legge che espressamente autorizzi a ciò (si veda, ad esempio, l’indennità in favore dei lavoratori autonomi prevista dal decreto legge 17 marzo 2020, n.  18), non possono accedere ai medesimi “ammortizzatori” previsti per i rapporti di lavoro subordinato.

Si pensi, in particolar modo, a quei rapporti giuridici in cui la “mobilità” del prestatore è tratto essenziale ed imprescindibile dell’attività pattuita. Il riferimento è, precisamente, agli agenti ed alle difficoltà, se non alla impossibilità, di costoro nel continuare a svolgere la propria attività.

In un contratto tipicamente sinallagmatico come quello di agenzia, occorre interrogarsi, finché perdurerà il contesto emergenziale, su quale sia la sorte dei rapporti giuridici da esso scaturenti. In particolare, le domande che si pongono sono due: l’agente che non può materialmente svolgere la propria attività è inadempiente nei confronti della committente? In caso di risposta negativa alla prima domanda, potrà comunque continuare a rivendicare le proprie provvigioni dal committente?

Si tratta di questioni che vengono in rilievo in tutti i casi in cui le parti non abbiano contrattualmente predeterminato, in modo invero previdente, i comportamenti da tenersi in situazioni emergenziali.

Orbene, quanto alla prima domanda, la risposta non può che esser negativa. L’art. 1256 cod. civ. esclude la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento, nei casi in cui la prestazione non sia possibile per una causa a lui non imputabile.

In applicazione di tale norma, qualora la mancata attività dell’agente dipenda da una situazione a lui estranea, non vincibile neppure con la massima diligenza (come, per l’appunto, il divieto di spostamento previsto dal Governo per l’emergenza sanitaria e la chiusura delle attività commerciali), egli non sarà ritenuto inadempiente per le prestazioni che sarebbero dovute nel periodo di riferimento.

Quanto alla seconda domanda, come vedremo, vi sono più risposte.

La disciplina del contratto d’agenzia prevede che la provvigione sia riconosciuta all’agente soltanto quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento, oltre che nelle ulteriori ipotesi previste dal codice.

Trattandosi di un rapporto sinallagmatico, a fronte del mancato intervento da parte dell’agente, il quale si trovi in una situazione in cui non può svolgere la propria attività, potrebbe non sorgere alcun diritto alla provvigione.

Sul punto si ricorda, però, che il codice civile prevede due istituti rivolti a regolamentare proprio le cd. “sopravvenienze” e, cioè, quelle circostanze che, non regolate nel contratto, sopravvengono – appunto – rispetto alla stipula dello stesso, determinando uno squilibrio economico tra le prestazioni, oppure rendendo la prestazione dell’agente così difficile, se non impossibile, al punto che il committente potrebbe non avere più alcun interesse a mantenere in piedi il rapporto contrattuale.

Questi istituti sono: l’eccessiva onerosità sopravvenuta e l’impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Più precisamente, il già citato art. 1256, comma 1°, e l’art. 1463 cod. civ. disciplinano l’impossibilità sopravvenuta “definitiva” della prestazione e, cioè, la situazione in cui la prestazione pattuita nel contratto (vale a dire, nel nostro caso, l’impegno dell’agente, nel tempo, di promuovere, per conto della preponente la conclusione di contratti) sia totalmente impossibile, per causa estranea alle parti: in tal caso il contratto cessa di diritto.

Quando, invece, l’impossibilità di svolgere l’attività è solo “temporanea” (e, cioè, l’impedimento a eseguire la prestazione dipende da una causa transitoria), come già ricordato, il codice civile si limita a prevedere che il debitore non è considerato inadempiente (art. 1256, comma 2° cod. civ.), senza indicare quali sono gli ulteriori effetti sul contratto.

Sul punto, si è pronunciata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha sottolineato che in ipotesi di impossibilità temporanea di eseguire la prestazione, il contratto non cessa, ma si sospende, sempreché il creditore – vale a dire, nel nostro caso, il committente – nutra ancora un qualche interesse  a mantenere il rapporto in vita, per la futura attività – vale a dire, nel nostro caso, per la futura attività dell’agente (Cass., sez. II, 24 aprile 2009 n. 9816; id. 22 ottobre 1982, n.5496).

Dunque, in ipotesi di impossibilità sopravvenuta temporanea, il contratto rimane sospeso, purché tale sospensione risponda a un interesse del creditore ad ottenere la prestazione pattuita ed il debitore non sia responsabile dell’evento da cui è derivata la sospensione.

In relazione alla situazione emergenziale attuale, riterremo che le misure adottate dal Governo possano oggettivamente impedire lo svolgimento della attività dell’agente implicando, qualora vi sia un interesse del committente a mantenere in piedi il rapporto, una sospensione del contratto d’agenzia e, contestualmente, del pagamento delle provvigioni, stante la inattività dell’agente.

In alternativa alla sospensione, l’agente e la committente potrebbero rinegoziare i termini (soprattutto economici) del contratto: si tratta della soluzione che appare preferibile in tutti i casi in cui il rapporto sia stato protratto per lungo tempo e vi sia un interesse da parte di entrambi di proseguirvi.