Ancora sulla percezione della NASPI:

assenza ingiustificata, aspetti processuali e prova

Abbandono del posto di lavoro e percezione della NASPI: aspetti processuali e riflessioni sull’onere della prova

Di seguito il contributo a firma dell’avv. Paolo de Berardinis, pubblicato da Diritto24, che tratta il tema della risoluzione del contratto, dovuto al recesso comunicato del datore di lavoro a causa dell’assenza ingiustificata, analizzato da un punto di vista processuale e dell’onere della prova.

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Sulla edizione de Il Sole 24 Ore Norme e Tributi del 27 novembre 2019, abbiamo già trattato l’argomento della risoluzione consensuale del contratto di lavoro subordinato, e ciò sulla scorta di quanto affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 25583/19, deposita il 10 ottobre 2019.

L’interesse che quel contributo ha suscitato si spiegava in ragione del tema che indirettamente toccava, vale a dire quello dell’abbandono del posto di lavoro per creare le condizioni per la percezione della Naspi a seguito della risoluzione del contratto, dovuto al recesso comunicato del datore di lavoro a causa dell’assenza ingiustificata.

Ora il tema si presenta nuovamente, seppure sotto un diverso profilo di non minore interesse, rispetto ad un tema che potrebbe dimostrarsi decisivo. Questo riguarda l’aspetto processuale della vicenda risolutoria ed attiene all’interrogativo a chi dei due contraenti, datore di lavoro ovvero lavoratore, gravi la prova attinente alla reale motivazione della risoluzione del loro contratto, se cioè la stessa sia conseguita ad un recesso ovvero ad una risoluzione consensuale avvenuta per fatti concludenti.

La Corte di Legittimità ha in svariate occasioni affermato che, anche con riferimento al rapporto di lavoro subordinato come in tutti i rapporti di durata, la parte che deduce l’estinzione del contratto è tenuta, in ragione della previsione di cui all’art. 2697 c.c., a fornire la relativa prova.

Nel contesto in esame la contrapposizione è rappresentata dalle diverse posizioni che assumono gli attori: da un lato vi è il lavoratore, che afferma sussistere un licenziamento, da cui il suo diritto a percepire la Naspi con il conseguente obbligo del datore di lavoro al pagamento del relativo contributo, dall’altro lato, la posizione del datore di lavoro che assume che l’estinzione del medesimo contratto non è esclusivamente a lui riferibile.

Orbene, è evidente che per risolvere la questione dovranno essere esaminati i dati fattuali che concretamente caratterizzano la vicenda, per cui, in particolare, andrà rilevata la loro prevalenza in un senso anziché nell’altro. Ma, ancor prima, è vero che se si pretende il riconoscimento di un certo diritto, quale è la percezione della più volte citata Naspi, ovvero si assume l’esistenza di un obbligo in capo al datore di lavoro di natura contributiva, costituito dal pagamento del ticket afferente la Naspi stessa, bisognerà indiscutibilmente che venga fornita la prova dell’evento licenziamento, per cui si dovrà dimostrare l’esistenza della volontà del datore di lavoro di espellere il proprio collaboratore.

Va aggiunto, sempre in ragione dell’interpretazione che è stata data della norma cardine già sopra ricordata, vale a dire l’art. 2697 c.c., che, laddove il datore di lavoro in sede di contenzioso, in luogo di limitarsi a negare l’esistenza del licenziamento dovesse eccepire la sussistenza della risoluzione consensuale, allora il medesimo datore dovrà preoccuparsi di dimostrare la fondatezza della propria tesi.