Scelte organizzative datoriali:

il lavoratore può impugnarle?

Il lavoratore ha diritto di impugnare le scelte organizzative datoriali?

Con sentenza n. 26966 del 22 ottobre 2019, la Suprema Corte ha statuito che l’assegnazione di una posizione organizzativa interna ad un dipendente di un datore di lavoro pubblico-privatizzato, ovvero di altra entità o società ad esso equiparabile, può essere legittimamente contestata dal dipendente non-vincitore.

Ciò in quanto quest’ultimo sarebbe titolare di “un interesse giuridicamente qualificato al rispetto della procedura, la cui violazione legittima il non vincitore a richiedere l’accertamento giudiziale dell’inadempimento, oltre che, eventualmente, il risarcimento del danno da perdita di chance”.

Nel caso di specie, poi, i Giudici di legittimità hanno ritenuto che il dipendente non-assegnatario avrebbe potuto validamente concorrere per la posizione in questione, se la comparazione tra i vari candidati fosse stata correttamente esperita: ciò sulla base della c.d. “prova di resistenza”, ossia di quella prova atta a dimostrare che “se il procedimento si fosse svolto correttamente” il dipendente escluso “avrebbe acquisito una posizione utile in graduatoria”.

Quindi, i medesimi Giudici hanno ritenuto che un’azione come quella in commento fosse effettivamente esperibile anche dal dipendente non-assegnatario, giacché di fronte all’obbligo contrattuale del datore di lavoro pubblico (od entità/società equiparabili) di garantire una pari possibilità di progressione di carriera – sempreché sussista una procedura che disciplini tale progressione – ed al suo inesatto adempimento, “il dipendente-creditore può esercitare sia l’azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione delle operazioni concorsuali, sia l’azione di risarcimento del danno”.

Da qui, in conclusione, la piena impugnabilità del provvedimento di assegnazione di una posizione organizzativa a soggetto diverso da quello che, invece, ne avrebbe avuto diritto.