L’impugnativa del licenziamento tra esigenze di conformità all’originale e trasmissione telematica
Con ordinanza del 29 gennaio 2020, il Tribunale di Monza si è pronunciato in merito alla forma dell’impugnativa di licenziamento e, in particolare, sulla possibilità che tale requisito venga soddisfatto con la mera trasmissione digitale della lettera in formato cartaceo.
Nel caso de quo, un lavoratore ricorreva al Giudice del Lavoro monzese chiedendo di voler accertare l’illegittimità del licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo, stante la manifesta insussistenza del fatto e, comunque, la violazione dei criteri di scelta.
Costituitosi in giudizio, il datore di lavoro, dal proprio canto, eccepiva la decadenza ex art. 6 L.604/66 per la mancata impugnativa in via stragiudiziale nel termine – previsto ex lege – di 60 giorni.
Invero, la Società aveva sì ricevuto una PEC dal difensore del lavoratore contenente in allegato la lettera di impugnazione, ma tale lettera era munita della sola sottoscrizione autografa del difensore; di modo che, concludeva la Società, l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento doveva ritenersi come non avvenuta, con ogni conseguenza in punto di decadenza dall’azione.
In proposito, è innegabile che l’impugnativa del licenziamento costituisca un vero e proprio “negozio giuridico” unilaterale recettizio che deve contenere la chiara volontà del lavoratore di contestare il licenziamento intimato.
Spesso accade che, anche per esigenze di celerità, il lavoratore impugni il licenziamento trasmettendo al datore di lavoro la scansione della propria comunicazione di impugnativa, redatta e sottoscritta su carta, quale allegato ad una comunicazione PEC trasmessa dal proprio difensore.
Tuttavia, il difensore agisce in virtù di procura conferita dal lavoratore che “attribuisce il potere di compiere tutte le attività, anche stragiudiziali, alle quali è condizionato il valido esercizio dell’azione” (Cass. 19 giugno 2019, n. 16416). La stessa, invece, non è richiesta alle organizzazioni sindacali, cui il potere di rappresentanza è conferito ex lege e segnatamente dall’art. 6 L. 604/66 nella parte in cui specifica il lavoratore è legittimato ad impugnare personalmente “anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale”.
Pertanto, ne deriva che l’esigenza di certezza è soddisfatta per gli effetti prodotti dal conferimento della procura a seguito del quale il difensore riveste la qualità di pubblico ufficiale.
L’ordinanza in commento, però, va oltre e si interroga sulla forma come vincolo del “negozio giuridico” dell’impugnazione del licenziamento. Sul punto, il Giudice monzese rinvia alle disposizioni contenute nel D.lgs. 82/2005 che distingue il “documento informatico” dalla “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico”; la differenza risiede nel fatto che il primo tipo di documento è disciplinato all’art. 22, a mente del quale “i documenti informatici contenenti copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico, spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del codice civile, se sono formati ai sensi dell’articolo 20, comma 1-bis, primo periodo. La loro esibizione e produzione sostituisce quella dell’originale”.
In sintesi, la norma stabilisce che il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta quando vi è apposta una firma digitale o, comunque, è formato con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento che possa comprovare in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore.
Ove dunque la scansione dell’impugnazione cartacea non sia stata sottoscritta digitalmente, essa conserva la natura di mera “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” priva quindi di validità ed efficacia ai sensi dell’art. 2702 c.c.
Nell’iter argomentativo, infatti, il giudice fa salva l’ipotesi in cui il difensore o il lavoratore firmi digitalmente la lettera di impugnativa, per poi trasmetterla successivamente via PEC.
Occorre quindi, secondo il Giudice monocratico, un’ulteriore prova certa sulla provenienza del documento, che si individua nella firma elettronica anche dell’impugnativa che il difensore allega alla PEC.
La sola trasmissione del documento con posta elettronica certificata dà prova certa dell’avvenuta spedizione e ricezione della comunicazione ma non garantisce la conformità del contenuto all’originale.
Alla luce delle considerazioni svolte nell’ordinanza in esame, per conferire certezza all’impugnazione del licenziamento oggetto di scansione occorre che si inverino le seguenti ipotesi: che la lettera sia sottoscritta dal lavoratore con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata o avanzata, ovvero che sia accompagnata da valida attestazione di conformità da parte di un notaio o altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (ex art. 22, comma 2 del D.lgs. 82/2005).