Appunti sui limiti di accesso al welfare da parte degli amministratori di società
Pubblichiamo di seguito l’approfondimento a cura dell’avv. Paolo de Berardinis e la dott.ssa Chiara Pulvirenti per Diritto24, in tema di Welfare aziendale nel panorama post-Covid19.
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L’emergenza Coronavirus ha, di fatto, avuto un impatto di non poco conto sul fatturato delle Società di quasi tutti i settori, costrette a ridurre od interrompere la propria attività e, nella maggior parte dei casi, a ricorrere alla Cassa Integrazione Guadagni per scongiurare una chiusura definitiva.
Nel panorama attuale, ma soprattutto in quello prossimo venturo in cui – ci si auspica quanto prima – queste riprenderanno a pieno regime, è necessario ripensare agli strumenti con cui le stesse Società possono affrontare, e tollerare, i costi aziendali, avendo riguardo ad una loro ottimizzazione ovvero trasformazione in investimenti.
Uno strumento certamente valido a tale scopo è quello di ricorrere ai piani welfare, che consentono alle aziende di ottenere un sicuro vantaggio dalla defiscalizzazione di importi riconosciuti come benefits diretti al personale dipendente. Tuttavia, è necessario conoscere, preliminarmente, i limiti dei benefits defiscalizzabili e della platea di lavoratori ammessi a beneficiarne.
In riferimento agli amministratori di Società di capitali, ad esempio, si è registrato negli anni un acceso dibattito circa la possibilità di annoverarli tra i soggetti destinatari delle disposizioni agevolative sul welfare aziendale contenute nei commi 2 e seguenti dell’art. 51 del TUIR; dibattito, questo, conclusosi solo recentemente e – fortunatamente – in senso positivo per le citate figure.
Ciò, però, non ha mancato di “stimolare” molteplici riflessioni da parte di giuristi e commercialisti e, conseguentemente, plurimi interventi (non sempre) chiarificatori da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Da ultimo, con risposta ad interpello del 6 dicembre 2019, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il regime di esclusione dal reddito dei piani welfare non può essere applicato agli amministratori della società se costoro non fanno parte di una categoria “omogenea”.
A tal proposito, giova ricordare che un amministratore di Società può essere ingaggiato con contratto di lavoro subordinato (solitamente, per l’attribuzione di una qualifica dirigenziale), ovvero con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (se non, addirittura, di consulenza); allo stesso modo giova ricordare anche che un amministratore di Società può, come non può, percepire un compenso per l’attività svolta; e così via.
Nel caso di specie, una Società di consulenza intendeva attivare un piano welfare aziendale ed in particolare riconoscere come benefits trattamenti estetici presso un centro benessere e dei corsi di lingua in favore dei familiari dei dipendenti.
Il suddetto piano era rivolto sia ai tre lavoratori dipendenti, sia ai tre amministratori; tra quest’ultimi solo uno percepiva reddito ex art. 50, comma 1, lett. c-bis del TUIR secondo cui sono assimilate a reddito da lavoro dipendente “le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società (…)”.
L’istante chiedeva, pertanto, di sapere se il piano welfare potesse essere attivato anche per i due amministratori che svolgevano l’incarico a titolo gratuito in quanto il sopra menzionato articolo prescinderebbe dalla percezione di un compenso in denaro o di altra entità.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate rispondeva, tuttavia, che all’art. 51, comma 2, le lettere f ed f-bis, TUIR elencano le somme, i servizi e le prestazioni che non concorrono a formare reddito a patto che siano offerte alla “generalità/categorie di dipendenti”.
Per contro, non può riconoscersi la defiscalizzazione ex art. 50, comma 2 se le somme od i servizi sono rivolti ad una sola persona ovvero ad alcuni individui che non formerebbero una categoria.
Inoltre, se è pacifico che i compensi degli amministratori rientrano nel regime di non imponibilità alle condizioni richieste ex art 51, comma 2 del TUIR, è altrettanto vero che, da una lettura della Circolare n. 28/E/2016, si evince che la stessa si debba escludere ogniqualvolta l’erogazione in natura si traduca in un aggiramento degli ordinari criteri di determinazione del reddito
Nel caso in esame, infatti, dal momento che i benefits sono corrisposti non in aggiunta alla retribuzione da lavoro dipendente ma come unico vantaggio economico per i due amministratori, questi non possono che assolvere a funzione essenzialmente retributiva e, per tale motivo, essere assoggettati a tassazione ex art. 51, comma 1 del TUIR.Sicché, in riferimento all’unico componente del Cda che riceve un compenso, questo non può dirsi appartenente a categoria omogenea rispetto agli altri due, di modo che i benefits andrebbero soltanto a suo personale vantaggio.
Sulla scorta delle sopra esposte considerazioni, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di dover negare l’applicazione del regime di esclusione del reddito sia agli amministratori di società che non ricevevano compenso per la funzione di fatto retributiva dei benefits, sia al manager che riceveva un compenso, giacché non facente parte di una categoria omogenea.
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