È possibile ricorrere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo dopo un licenziamento collettivo?
La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi (sentenza n. 808/2020) sulla legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (“g.m.o.”) intimato “sugli stessi motivi di quello collettivo” cui aveva fatto precedentemente ricorso una Società operante nel campo del food&beverage.
L’identità dei motivi posti alla base dei due licenziamenti aveva indotto i Giudici dei gradi di merito a ritenere illegittimo il successivo licenziamento individuale. Immediata è stata l’impugnazione proposta dalla Società dinnanzi al Supremo Collegio rilevando, da un lato, che la legge n. 223/1991 (che disciplina i licenziamenti collettivi) non vietava di irrogare un successivo licenziamento individuale per g.m.o. e, dall’altro, che qualsiasi “compressione del diritto del datore di lavoro al licenziamento per giustificato motivo oggettivo configurava una lesione anche della libertà di iniziativa economica tutelata dall’articolo 41 della Costituzione”.
Tali tesi non venivano accolte dal Supremo Collegio, il quale riteneva, peraltro, che il licenziamento per g.m.o. intimato dalla Società all’esito della procedura di mobilità fosse illegittimo non tanto sotto il profilo motivazionale, quanto sotto il profilo procedurale.
In particolare, secondo i Giudici di legittimità, il fatto che il datore di lavoro avesse già accettato di procedimentalizzare i “motivi di riduzione del personale” con le controparti sindacali nell’ambito di procedura di mobilità escludeva la possibilità per il medesimo datore di lavoro di intimare, al di fuori del confronto sindacale, un successivo licenziamento individuale sulle base di quei medesimi motivi.
Diversamente opinando, proseguiva il Supremo Collegio, si rischierebbe di privare di effetto il confronto con le controparti sindacali – che costituisce, come noto, un passaggio essenziale per la legittimità di un qualsiasi licenziamento collettivo – o, quantomeno, di rendere quel confronto “incompleto in ordine al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali del personale eccedente e non attendibile quanto alla successiva partecipazione, all’atto dei licenziamenti, delle concrete modalità di applicazione dei criteri di scelta”.
Per di più, concludeva la Suprema Corte, ove siano state raggiunte delle intese con le controparti sindacali nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo, l’intimazione di successivi licenziamenti individuali costituirebbe una palese violazione di quelle intese, “la cui obbligatorietà non può esaurirsi nel tempo all’atto della conclusione della procedura”.