Fumo passivo:

estendibilità degli obblighi datoriali di sicurezza sul lavoro

Fumo passivo: è possibile ricomprenderlo tra gli obblighi di sicurezza in capo al datore di lavoro?

Con sentenza n. 21287 del 9 agosto 2019, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata su una problematica, tanto interessante quanto – in verità – diffusa, suscettibile di ampliare il novero degli adempimenti datoriali in tema di sicurezza e prevenzione dei rischi sul luogo di lavoro.

Trattasi, precisamente, della problematica del fumo passivo presente in locali – o pertinenze – aziendali, accessibili anche ai dipendenti non fumatori. In relazione a tale problematica, alcuni dipendenti adivano l’Autorità Giudiziaria per chiedere se gli obblighi sanciti dal d.lgs. n. 81/2008 coprissero anche questa fattispecie.

Ebbene, la richiesta dei predetti dipendenti ha avuto risposta positiva dalla Suprema Corte che, recuperando un orientamento giurisprudenziale apparentemente arrestatosi nel 2011, dichiarava che il principio generale di “salvaguardia” della forza lavoro enunciato dall’art. 2087 Cod. Civ. trova applicazione anche con riguardo agli effetti nocivi che possono derivare dalla presenza di fumo passivo.

Ciò che, in verità, vale tanto più per le strutture sanitarie (nella fattispecie, infatti, il datore di lavoro era un’ex USL), le quali – attesa la “pacifica … conoscenza dei rischi del fumo” negli ambienti di lavoro – non possono ritenere assolti i predetti obblighi di prevenzione e sicurezza per il sol fatto di aver genericamente rispettato le “norme contenenti divieti di fumo in ambienti diversi da quelli indicati nella normativa del 1975 e del 1994”.

Al contrario, per i Giudici di legittimità è richiesto un quid pluris da parte di qualsiasi datore di lavoro (a maggior ragione un’ex USL e, ora, le ASL) ai fini della salvaguardia della salute dei lavoratori contro le malattie fumo-correlate.

Posto quanto sopra, giova in ogni caso evidenziare che la “esposizione al fumo passivo” costituisce “una malattia professionale non tabellata”, di modo che la prova del relativo nesso di causalità graverà sul lavoratore.

Inoltre, la sussistenza di un nesso di causalità tra il fumo passivo e lo status di salute del lavoratore andrà “valutato in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un notevole grado di probabilità”.