Licenziamento per uso di internet a fini privati

tra tutela della privacy e sanzione della condotta

Ultime sul licenziamento del dipendente che accede troppe volte ad Internet per fini privati

Può capitare, durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, che un dipendente dia una “sbirciatina” alla posta elettronica personale, oppure consulti siti non propriamente attinenti alle sue mansioni.

Tuttavia, è accaduto che una dipendente avesse effettuato “numerosi accessi” alla propria casella di posta elettronica ed a siti extra-lavorativi che, “visti i tempi e quantità di navigazione”, avevano cagionato, nei fatti, una “sostanziale interruzione in tutto il periodo di riferimento della prestazione lavorativa”.

Per giunta, l’accesso ai predetti siti extra-lavorativi aveva comportato – o, quantomeno, contribuito – un’intrusione di un virus nei sistemi informatici del datore di lavoro, cui era conseguita la criptazione di oltre il 90% dei file presenti sui database aziendali.

Da qui, dunque, il licenziamento della lavoratrice, che veniva giudicato del tutto legittimo dalla Corte di Appello capitolina con sentenza dell’11 marzo 2019 (est. Marrocco).

Al di là del disvalore sociale pure insito nella condotta della dipendente, ciò che colpisce è che la stessa, prima di impugnare giudizialmente il proprio licenziamento, si fosse rivolta, previamente, al Garante della Privacy, sostenendo che il controllo degli accessi alla posta elettronica personale ed ai siti consultati dalla lavoratrice costituisse un’indebita intromissione del datore di lavoro nella sua vita privata.

Ed invero, a fronte delle rimostranze mosse dalla lavoratrice, il Garante adottava un provvedimento con cui intimava al datore di lavoro “di astenersi dall’effettuare qualsiasi ulteriore trattamento dei dati acquisiti dalla cronologia del browser … del computer aziendale in uso alla ricorrente … eccettuata la mera conservazione degli stessi ai fini della loro eventuale acquisizione da parte giudiziaria”.

E tuttavia, tale dictum (anch’esso soprendente) non ostava, nella prospettiva del Collegio romano, a che l’attività lavorativa della dipendente, soprattutto per ciò che concerne l’utilizzo della strumentazione datoriale, potesse essere sottoposta “a verifica non durante il suo svolgimento, ma ex post e quale effetto indiretto di operazioni tecniche condotte su strumenti di lavoro appartenenti al datore di lavoro e finalizzate all’indifferibile ripristino del sistema informatico aziendale” (ossia: il ripristino dei database a seguito di “attacco virus”).