Pubblico impiego:

L'orientamento della Cassazione sul tema della sospensione del procedimento disciplinare

La Cassazione sulla sospensione del procedimento disciplinare nei rapporti di pubblico impiego

Ai sensi dell’art. 55ter, comma 1, d.lgs. n. 165/2001 (nella sua formulazione vigente sino al 21 giugno 2017), la Pubblica Amministrazione che decida di intraprendere un procedimento disciplinare nei confronti di un proprio dipendente, che sia al contempo coinvolto in un processo penale, “può” sospendere il procedimento in questione “fino al termine di quello penale”.

Tuttavia, l’art. 55ter ult. cit. impone, al comma 4 (anch’esso nella sua formulazione vigente sino al 21 giugno 2017) un termine di decadenza (pari a 60 gg) entro cui la Pubblica Amministrazione deve riaprire il procedimento: tale termine di decadenza trova applicazione sia in caso di “comunicazione della sentenza all’amministrazione di appartenenza del lavoratore”, sia in caso di “presentazione dell’istanza di riapertura”.

Quid nel caso in cui il termine di “ripresa” del procedimento disciplinare non sia rispettato dalla Pubblica Amministrazione? Su questa ipotesi si è, recentemente, pronunciata la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 12662 del 13 maggio 2019.

La fattispecie aveva ad oggetto il licenziamento intimato ad un dipendente di una Provincia, cui era stato contestato di aver illecitamente fruito di permessi retribuiti ex d.lgs. n. 151/2001 e legge n. 104/1992 in realtà non dovuti. La contestazione traeva origine dall’essere stato quel dipendente destinatario di un procedimento penale basato sui medesimi fatti.

Ad avviso del dipendente, il licenziamento in questione sarebbe stato illegittimo (i) perché non vi era bisogno di alcuna sospensione, atteso che “gli addebiti a carico del dipendente [erano] apprezzabili a prescindere dal procedimento penale” e (ii) perché “il procedimento disciplinare [era] stato anche riattivato oltre i termini previsti rispetto alla sentenza penale di primo grado”.

La tesi del dipendente veniva accolta dal Tribunale del merito, il quale giudicava “tardiva” la contestazione, con conseguente annullamento dell’impugnato licenziamento. La sentenza resa dal Giudice di prime cure veniva, però, riformata dalla Corte di Appello territorialmente competente.

In particolare, i Giudici di secondo grado rilevavano come le doglianze del dipendente in punto di “inutilità” della sospensione fossero prive di pregio, atteso che tale “scelta [era] stata ispirata da canoni di prudenza, anche alla luce dell’atteggiamento negatorio assunto … in sede penale” dal dipendente. Con riferimento, invece, all’individuazione del dies a quo per apprezzare il decorso del termine di decadenza ex art. 55ter, comma 4, d.lgs. n. 165/2001, i medesimi Giudici ritenevano che esso dovesse coincidere con il “momento della comunicazione integrale della sentenza all’Amministrazione” e non in “momenti anteriori della pronuncia del dispositivo o del deposito della motivazione stessa”.

Le statuizioni rassegnate in appello venivano confermate dal Supremo Collegio. In particolare, i Giudici di legittimità rilevavano, da un lato, che proprio “l’atteggiamento negatorio assunto dal ricorrente nelle sedi in essere in allora” imponeva “un’indagine attenta”, con conseguente sospensione del procedimento disciplinare; dall’altro, che “se la sospensione è una facoltà dell’operare della P.A., ne deriva la piena legittimità della scelta di riattivare il procedimento, dapprima sospeso, anche prima della definizione del processo penale con pronuncia irrevocabile”.

Da tale ultimo profilo derivava, stando alla tesi della Suprema Corte, che “il termine decadenziale di sessanta giorni … è da riferire solo al caso in cui la riattivazione sia successiva all’irrevocabilità della sentenza penale”.

In conclusione, dunque, veniva affermato il seguente, duplice, principio di diritto: (i) “il datore di lavoro pubblico … è legittimato a riprendere il procedimento disciplinare, senza attendere che quello penale venga definito con sentenza irrevocabile, allorquando ritenga, pur dopo avere disposto la sospensione, che gli elementi successivamente acquisiti consentano la decisione”; (ii) “il termine di decadenza per la ripresa del procedimento, di cui all’art. 5-er, co. 4 d.lgs. 165/2001, va riferito solo al caso in cui la riattivazione sia successiva all’irrevocabilità della sentenza penale”.