Diritto Intertemporale in ambito previdenziale

Un caso trattato dallo Studio

Una questione di diritto intertemporale in ambito previdenziale

Con sentenza n. 844 del 26 aprile 2019, ottenuta dallo Studio de Berardinis&Mozzi, la Corte d’Appello di Milano si è pronunciata in merito ad una questione previdenziale alquanto peculiare. Ne ripercorriamo, a beneficio di maggior chiarezza, i tratti essenziali.

Una Società stipulava con le competenti OO.SS. un contratto di solidarietà difensivo per il periodo compreso tra il 28 maggio 2013 ed il 27 maggio 2014, in forza del quale provvedeva ad anticipare – come previsto dalla legge – il trattamento di integrazione salariale a tutti i lavoratori che avevano subito, in forza di ciò, una riduzione dell’orario di lavoro.

In particolare, il trattamento di integrazione salariale veniva quantificato, ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 726 del 1984, convertito con modificazioni in legge n. 863 del 1984, in misura pari all’80% della retribuzione non percepita, di cui il 20% consisteva nella maggiorazione disposta ai sensi dell’art. 1, comma 6, d.l. n. 78 del 2009, convertito con modificazioni in legge n. 102 del 2009.

Orbene, in considerazione dell’anticipazione – disposta in favore dei dipendenti interessati dalla riduzione del proprio orario di lavoro – del trattamento di integrazione salariale, la Società provvedeva a richiedere all’INPS il conguaglio di quest’ultimo trattamento con i contributi dovuti per legge e complessivamente dichiarati nei c.d. “flussi UNIEMENS”.

Dal canto suo, l’INPS riscontrava la suddetta autorizzazione soltanto dopo oltre un anno dalla richiesta formulata dalla Società, concedendo a quest’ultima l’agognato conguaglio in relazione ai “flussi UNIEMENS” relativi ai mesi di gennaio 2015, marzo 2015 ed aprile 2015.

Senonché, nelle more dell’autorizzazione dell’INPS, la maggiorazione del 20% veniva decurtata, con effetto dal 1° gennaio 2014 in poi, in percentuale pari al 10% (cfr. art. 1, comma 186, legge n. 147/2013).

Ond’è che l’INPS riteneva di dover applicare la suddetta riduzione non solo con riferimento ai trattamenti anticipati dal 1° gennaio 2014 in poi – data di effettiva entrata in vigore della nuova norma – ma anche con riguardo ai trattamenti anticipati nel periodo antecedente al 1° gennaio 2014, e cioè allorquando non la predetta riduzione non era operativa.

Ed invero, secondo la tesi dell’INPS, ciò che contava era il momento in cui era stata disposta l’autorizzazione al conguaglio e non già il momento in cui i trattamenti di integrazione salariale fossero stati anticipati dal datore di lavoro.

La Corte d’Appello di Milano ha, tuttavia, disatteso la tesi dell’INPS, affermando che “l’Istituto … avrebbe dovuto verificare quale fosse il limite percentuale applicabile ‘ratione temporis’” e, cioè, il limite “vigente per i periodi in relazione ai quali si chiedeva di effettuare i conguagli”.

Non da ultimo, si segnala, tra le righe della motivazione, un interessante obiter dictum dello stesso Collegio milanese secondo cui “i ritardi di INPS nel definire le pratiche” potrebbe astrattamente rilevare in quei giudizi “in cui INPS fosse convenuto per il risarcimento del danno arrecato alla Società”.