Chi tace acconsente … e rischia il licenziamento

Quando "denunciare" non è un'opzione

Chi tace acconsente … e rischia il licenziamento

Mentre a livello europeo ferve il dibattito su come tutelare chi “spiffera” all’esterno le irregolarità commesse dal proprio datore di lavoro (il riferimento è alla recentissima Direttiva EU del 23 ottobre 2019, n. 2019/1937, in tema di “Whistleblowing”), nel panorama italiano i Giudici si interrogano su quale sia la sanzione più proporzionata da irrogare a colui che, pur a conoscenza di irregolarità commesse all’interno della propria sede di lavoro e/o da propri Colleghi, ometta di riferirle al proprio datore di lavoro, incentivandone così – sia pure indirettamente – la prosecuzione.

In particolare, la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 30558/2019) è stata recentemente chiamata a pronunciarsi sulla seguente fattispecie: un lavoratore, pur a conoscenza “della prassi irregolare instaurata nella procedura di aggiudicazione delle gare aventi ad oggetto la riparazione dei veicoli aziendali”, non la denunziava al proprio datore di lavoro, acconsentendo così alle irregolari procedure di aggiudicazione che scaturivano da tale prassi “e al conseguente affidamento dei lavori”.

Da qui il licenziamento del lavoratore in questione che, però, i Giudici di merito dichiaravano illegittimo sul presupposto che “il compito di vigilare sulla corretta procedura di affidamento delle gare e di riferire alla direzione aziendale eventuali irregolarità riscontrate spettava al” suo “superiore gerarchico”.

Per contro, i Giudici di legittimità ritenevano che la quaestio iuris andasse risolta alla luce del “criterio della diligenza” richiesta a ciascun dipendente e che tale criterio “non debba essere commisurato soltanto al tipo di attività che è oggetto della prestazione, alle mansioni e alla qualifica professionale del dipendente, ma debba correlarsi … all’interesse dell’impresa (art. 2104 cod. civ.) e, pertanto, …  all’interesse datoriale al suo corretto funzionamento”.

Con la conseguenza che il lavoratore non solo deve eseguire correttamente le direttive a lui impartite dal proprio datore di lavoro, ma deve altresì astenersi “da qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima”.