Licenziamento per giusta causa

Quanto pesa l'intenzionalità della condotta del lavoratore

Licenziamento per giusta causa e condotta “colposa” del lavoratore

Con la sentenza del 16 luglio 2019 n. 19023, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla valenza che può avere il c.d. “elemento soggettivo”, ossia la “intenzionalità”, della condotta del lavoratore in sede di licenziamento per “giusta causa”.

La fattispecie esaminata dai Giudici di legittimità aveva ad oggetto la contestazione di due episodi di ammanco dai denaro dell’ATMdi proprietà della Società datrice di lavoro, “emersi in occasione di temporanee sostituzioni”, del lavoratore interessato dal procedimento disciplinare, “da parte di colleghi”.

In ragione di tale duplice episodio, il lavoratore in questione veniva attinto da un procedimento penale avente quale capo di imputazione quello di “appropriazione indebita” – conclusosi con l’assoluzione dell’imputato perché “il fatto non sussiste” – e, quindi, licenziato dalla Società per “giusta causa”.

Seguiva l’impugnazione del licenziamento da parte del medesimo lavoratore che, dapprima, veniva integralmente rigettata dal Giudice di prime cure e, poi, accolta in appello.

In particolare, i Giudici di secondo grado motivavano tale accoglimento rilevando che “nella condotta del lavoratore, andava escluso il dolo, non dimostrato in sede penale e comunque non contestato, avendo la stessa società ricondotto l’inadempimento a ‘colpevole assenza di vigilanza”. Pertanto, concludevano i medesimi Giudici, il licenziamento era privo di fondamento giacché il contratto collettivo applicato prevedeva “la sanzione del licenziamento esclusivamente per condotte dolose”.

Il ragionamento seguito dalla Corte del merito non veniva, però, convalidato dai Giudici di legittimità. Di fatti, secondo la Corte di Cassazione, “la scala di valori recepita dai contratti collettivi … costituisce solo uno dei parametri a cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto le clausole generali di giusta causa e giustificato motivo soggettivo”; sicché, “il giudice deve verificare la condotta, in tutti gli aspetti soggettivi ed oggettivi che la compongono, anche al di là della fattispecie contrattuale prevista”.

Da qui, in buona sostanza, l’irrilevanza del profilo “doloso” della condotta contestata al lavoratore, contando invece la valutazione complessiva dell’addebito contestato in via disciplinare e della rilevanza del comportamento sul rapporto di lavoro.