Appalti

Un caso in materia di interposizione nei rapporti di lavoro

Interposizione nei rapporti di lavoro in appalto: un caso interessante

Con sentenza n. 15557/2019, la Suprema Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: l’osservanza delle previsioni contenute nel capitolato d’appalto non esclude l’autonomia organizzativa della ditta appaltatrice, purché avente una struttura imprenditoriale propria, né esclude l’assunzione del rischio per la corretta esecuzione del servizio, cui è correlato l’esercizio del potere direttivo, di controllo e disciplinare nei confronti del personale impiegato nell’appalto.

Si tratta di una pronuncia interessante ai fini dell’interpretazione dell’art. 29, primo comma, del D.Lgs. 276/2003.

Tale norma, nel definire il contratto di appalto c.d. “genuino” rispetto a quello di somministrazione di lavoro, disciplinato dagli artt. 20-28 dello stesso decreto, richiama i due principali elementi che caratterizzano il primo tipo di contratto, ossia la permanenza in capo all’appaltatore dell’esercizio del potere direttivo e organizzativo nei confronti dei dipendenti utilizzati nell’appalto e l’assunzione del rischio d’impresa.

La fattispecie oggetto della sentenza in commento, può essere così riassunta: dopo essere risultati soccombenti in primo ed in secondo grado, alcuni lavoratori, impiegati in un appalto commissionato da Trenitalia S.p.A., ricorrevano per Cassazione insistendo nella costituzione di un rapporto di lavoro subordinato tout court alle dipendenze del citato committente.

La domanda così proposta si fondava, principalmente, sulla seguente argomentazione: la specificità delle clausole contenute nel capitolato d’appalto, che contenevano dettagliate direttive del committente per le prestazioni lavorative dei dipendenti impiegati nell’esecuzione della commessa, non avrebbe lasciato alcuna autonomia organizzativa all’appaltatore, che in questo modo non avrebbe potuto esercitare l’attività di direzione del personale. Tanto avrebbe dunque configurato la fattispecie dell’interposizione illecita di manodopera.

A tal proposito la Suprema Corte, confermando un orientamento giurisprudenziale già formatosi nella vigenza della legge n. 1369/1960 (che regolamentava il divieto di interposizione nelle prestazioni di lavoro prima che venisse introdotta la disciplina sanzionatoria di cui al D.Lgs. 276/2003), ha ribadito la centralità dell’accertamento in merito al soggetto che, direttamente, esercita il potere dispositivo e di controllo sul personale impiegato nell’appalto. In sostanza, sono considerati leciti gli appalti di opere e servizi svolti con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, senza diretti interventi dispositivi e di controllo del committente sui lavoratori dipendenti dall’altro soggetto.

Proprio partendo da tale assunto ed ampliandone la portata, la Cassazione, con la sentenza n. 15557/2019 ha ritenuto che non costituisce deviazione dallo schema tipico dell’appalto “genuino” “il fatto che siano predeterminate in modo analitico nel contratto di appalto le modalità operative del servizio, specificità certamente funzionale alla corretta esecuzione del servizio oggetto del contratto, restando comunque escluso che durante l’esecuzione della prestazione gli odierni ricorrenti ricevessero direttive sullo svolgimento del servizio”. 

Tanto è specificato nel passaggio in cui il Supremo Collegio ritiene che “la predeterminazione delle modalità esecutive, dettagliatamente descritte nel capitolato, rispondesse all’esigenza di adeguatezza della prestazione lavorativa alla caratteristiche tecniche del particolare servizio, senza tuttavia incidere sull’autonomia dell’impresa appaltatrice quanto a regolazione dei turni lavorativi, delle ferie e quant’altro relativo alla gestione del rapporto di lavoro, come pure non fosse escluso il potere disciplinare facente capo a (l’appaltatrice), mentre il coordinamento con il personale di (la committente) era coerente con l’oggetto dell’appalto e non costituiva, di per sé, un indice della natura non genuina dello stesso”.