Rassegna Stampa dBM

Licenziamento per condotte extralavorative: ambito di applicazione ed onere probatorio, a cura di Giovanna Flora Ragusa

Con la recente sentenza n. 35066 del 14 dicembre 2023, la Corte di Cassazione si è espressa in merito al tema, senz’altro delicato, delle possibili conseguenze disciplinari delle condotte extralavorative adottate dal dipendente.

La pronuncia in commento, in particolare, ha fornito un’interessante opinione, sia in merito alla portata ed all’estensione dell’obbligo di fedeltà, imposto ai lavoratori dall’art. 2105 cod. civ., che relativamente alla corretta interpretazione della nozione di ‘molestia’, anche alla luce delle disposizioni internazionali sul lavoro.

La fattispecie all’esame della Suprema Corte, in particolare, riguardava il caso di un prestatore che aveva intrattenuto, in tempi diversi, rapporti extralavorativi con due colleghe dipendenti della medesima banca datrice di lavoro, perpetrando molestie ai danni delle stesse e venendo, conseguentemente, licenziato per giusta causa.

Il predetto licenziamento è stato ritenuto legittimo dalla Corte di Cassazione, con la motivazione che la banca datrice aveva tratto un particolare e giustificato allarme dal contegno del proprio dipendente, il quale, rendendosi oltre modo petulante e per giunta violento con pregiudizio di altre due lavoratrici, aveva mostrato di essere immune da limiti e discipline nella gestione dei propri rapporti extraprofessionali con i colleghi, nonché nei rapporti di svago. Tale connotazione risultava ancor più grave per il prestatore in questione, il quale, in ambito aziendale, rivestiva il ruolo di ‘Team Leader’, con mansioni di coordinamento e supporto di colleghi, nonché in rapporto diretto con la clientela. Pertanto la Suprema Corte, confermando quanto statuito dal Giudice territoriale, ha valutato le condotte contestate idonee alla definitiva perdita di fiducia della banca nei confronti del lavoratore.

Con la sentenza in commento, è stato affermato, dunque, il seguente principio: “In linea di diritto, giova ribadire che,  in tema di licenziamento per giusta causa, il lavoratore debba astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con gli obblighi connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa, dovendosi integrare l’articolo 2105 c.c. con gli articoli 1175 e 1375 c.c., che impongono l’osservanza dei doveri di correttezza e di buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, si’ da non danneggiare il datore di lavoro”.

La sentenza in commento, sotto altro profilo, ha altresì precisato che, con riferimento alla nozione di ‘molestia’, la stessa va interpretata anche alla luce di quanto previsto dalla Convenzione OIL n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 e ratificata dall’Italia con la L. 15 gennaio 2021, n. 4.

La Convenzione e la relativa Raccomandazione del 21 giugno 2019 n. 206 hanno, infatti, arricchito il codice internazionale del lavoro e promosso il rafforzamento della legislazione, delle politiche e delle istituzioni nazionali, al fine di rendere effettivo il diritto ad un luogo di lavoro libero da violenza e da molestie.

Sulla scorta di tali principi, deve dunque intendersi che la nozione di ‘molestia’ risulti integrata dal carattere comunque indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale.

La tutela conseguentemente accordata dal nostro ordinamento è dunque fondata sull’oggettività del comportamento tenuto e dell’effetto prodotto, rimanendo irrilevante l’aspetto soggettivo e psicologico dell’agente, consistente nella concreta volontà di arrecare l’offesa.

Per quanto attiene, poi, all’onere probatorio gravante sul datore di lavoro ai fini del giudizio di legittimità del licenziamento, nella pronuncia in commento viene precisato che lo stesso risulta assolto con la dimostrazione del comportamento extralavorativo addebitato al dipendente, nonché del “riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto, compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento”.

Pertanto, nel caso in cui le imprese abbiano intenzione di intimare un licenziamento nei confronti di un dipendente, a seguito del ricevimento di segnalazioni in merito a condotte extralavorative dal medesimo poste in essere in violazione dei generali doveri di correttezza e buona fede, è opportuno che avvenga una accorta istruttoria, sicché è del tutto opportuno farsi rilasciare dichiarazioni scritte da parte di coloro che sono a diretta conoscenza dei comportamenti censurabili. Si badi che le dichiarazioni devono essere dirette, genuine e precise nell’affermare quanto accaduto.

Ciò posto, occorrerà altresì considerare la sussistenza degli elementi che riconducano i fatti nel novero di un “riflesso anche solo potenziale ma oggettivo” dei predetti fatti sul rapporto di lavoro. Non rileva invece il danno conseguente alle condotte poste in essere dal dipendente di cui si tratta. E’ infatti sufficiente che i comportamenti dei quali si dice, siano obiettivamente idonei a compromettere le aspettative di un futuro, corretto, adempimento della prestazione.

Costituisce pertanto un dato rilevante anche la posizione lavorativa ricoperta dal dipendente nell’ambito aziendale: ed infatti, quanto più elevato è l’inquadramento contrattuale e maggiori le responsabilità riconosciute al prestatore, tanto più si connotano di gravità i comportamenti dal medesimo commessi.

La puntuale e, necessariamente certosina, attività consigliata, costituisce l’unico modo attraverso il quale evitare qualsivoglia problematica per il datore di lavoro, che potrà esercitare con pienezza di conoscenza la delicata facoltà disciplinare.

 

Pubblicato il 9.2.2024 su Il Diario del Lavoro. Consultabile cliccando qui