Covid-19 e infortunio sul lavoro

Un'equiparazione non scontata

Covid 19 e infortunio sul lavoro

Di seguito l’articolo a firma dell’avv. Paolo de Berardinis pubblicato da Diritto24 e inerente il tema della qualificazione quale infortunio sul lavoro per il caso di contagio da Covid-19.

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La qualificazione dell’ammalamento da Covid-19 come infortunio, a seguito della disposizione contenuta nell’art. 42 comma 2 del D.L. n. 18/2020 convertito nella legge n. 27/2020, ha posto una serie di interrogativi e fatto nascere considerevoli preoccupazioni in capo ai datori di lavoro.
Alla norma che ha parificato la malattia all’infortunio sono seguite varie circolari dell’Inail che, in luogo di tranquillizzare gli operatori, li ha ancor più preoccupati atteso che, nella sostanza, l’Ente ha, in un primo momento, rilevato che l’ammalamento/infortunio poteva essere ricondotto, quanto alla responsabilità, in capo al datore di lavoro utilizzando come dimostrazione le prove presuntive.

Questa opinione è apparsa francamente non accettabile, basti riflettere sul fatto che nel caso del Covid-19, trattandosi di una pandemia, l’esposizione all’agente patogeno può avvenire ovunque e in qualunque momento.

Ecco allora che lo stesso Istituto ha opportunamente rivisto le proprie, iniziali, posizioni e dunque ha espresso una diversa opinione, più apprezzabile delle prime prese di posizione. Sicché, sintetizzando al massimo, si ritiene da parte dell’Inail che l’adozione scrupolosa delle misure di prevenzione contemplate nel Protocollo sottoscritto dalle parti sociali in data 14 marzo 2020, possa escludere il nesso eziologico tra l’ammalamento/infortunio ed il luogo di lavoro.

Senza sottovalutare il fatto che una simile posizione lascia certamente più tranquilli, quantomeno in merito a quello che potrebbe essere l’approccio dell’Inail, ci si deve comunque chiedere se questa sia, o meno, una posizione corrispondente a quanto la legge dispone.

E qui giunti vanno fate alcune valutazioni, necessariamente tecniche, dovendo in primo luogo dar per scontato che secondo un’antica tradizione alla causa violenta, propria dell’infortunio lavoristico secondo i dettami del T.U. sugli infortuni, si è parificata la causa virulenta (si vedano le relazioni risalenti al 1942 sull’ammalamento da carbonchio). Per cui su tale aspetto vi è solo da prendere atto che è la stessa storia degli infortuni sul lavoro che ci fornisce una prima, rilevante, risposta. C’è poi la disposizione civilistica contenuta dall’art. 2087 cod. civ. che nella sostanza esige che il datore di lavoro debba essere in grado di adottare tutte le misure possibili a tutela della incolumità dei propri collaboratori.

Per cui, a ben riflettere, e tenuto conto di quello che è il transfert patogeno proprio del coronavirus, sarà l’adozione di mezzi, approntabili dal datore di lavoro sulla base della effettiva conoscenza della malattia, a dover essere valutata come elemento di per sé dirimente, in grado cioè impedire che l’ammalamento sia qualificabile come infortunio, dovendosi altresì escludere ogni responsabilità in capo al datore di lavoro.

 

L’articolo è disponibile anche in PDF a questo link.