"Passare alle vie di fatto"

La Cassazione torna sul tema del licenziamento

Anche senza turbamento dell’attività aziendale, un calcio può costare il posto

Tra le fattispecie di licenziamento escluse dal divieto sancito dall’art. 46 del d.l. n. 18/2020 (c.d.: “Decreto Cura Italia”) rientrano, senza dubbio, quelle determinate da motivi disciplinari e da “giusta causa” di recesso ai sensi dell’art 2119 Cod. Civ..

In particolare, può sussistere una giusta causa di recesso allorquando un dipendente esageri nei comportamenti e dia luogo alle c.d. “vie di fatto” (ossia: ad una vera e propria aggressione, vuoi nei confronti di altri colleghi, vuoi nei confronti di un superiore gerarchico). Non a caso, tale ipotesi di licenziamento è contemplata dalla maggior parte dei contratti collettivi; alcuni di questi, tuttavia, chiedono che non vi sia un mero “passaggio alle vie di fatto” da parte del dipendente, ma anche che tale gesto arrechi un “grave perturbamento alla vita aziendale” (tanto prevede, ad esempio, il CCNL Chimici Industria).

Sull’importanza dell’effettiva sussistenza di questa ulteriore circostanza si è interrogata, di recente, la Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 27 marzo 2020, n. 7567).

Precisamente, il caso di specie aveva ad oggetto un diverbio tra un lavoratore ed il proprio capoturno, all’interno del perimetro aziendale, poi degenerato in un calcio sferrato dal primo sotto il ginocchio del secondo. Immancabile la contestazione da parte della Società datrice di lavoro e, infine, il licenziamento del “calciatore”.

Il licenziamento così intimato veniva, però, ritenuto illegittimo dai Giudici di merito, i quali ritenevano che – per come descritta la vicenda – fosse mancato il grave perturbamento alla vita aziendale richiesto dal contratto collettivo applicabile. Di contrario avviso è stato, invece, il Supremo Collegio che, dopo aver ricordato come “non possa considerarsi vincolante la tipizzazione delle fattispecie previste dal contratto collettivo nell’individuazione delle condotte costituenti giusta causa”, ha rimarcato altresì come spetti “al giudice di merito esaminare gli addebiti posti a fondamento del licenziamento … anche alla luce dell’etica comune e dei valori esistenti nella realtà sociale”.

A tal proposito, la descrizione – all’interno della lettera di contestazione – del solo fatto che il lavoratore in questione avesse sferrato un calcio al proprio capoturno poteva costituire, di per sé, circostanza dirimente ai fini dell’irrogazione di un licenziamento per giusta causa; tanto, però, non era stato valorizzato dal Tribunale e dalla Corte del merito, i quali avevano incentrato l’attenzione sulla sola insussistenza di un grave turbamento alla vita aziendale (che, ad onor del vero, la Società non aveva contestato nella lettera e che, dunque, non era tenuta a provare).

Da qui, in conclusione, il rigetto delle tesi del lavoratore.