Sul tema dell'applicabilità del Jobs Act

ai contratti di lavoro a tempo determinato convertiti

Applicabilità del Jobs Act ai contratti di lavoro a tempo determinato convertiti

Di seguito l’articolo a firma dell’avv. Francesco Marasco pubblicato da Diritto24: una rifelssione alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 823/2020

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La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi (sentenza n. 823/2020) in merito alla possibilità di estendere l’ambito di applicazione del d.lgs. n. 23/2015 (“Jobs Act”) anche ai rapporti di lavoro a tempo determinato giudizialmente convertiti in rapporti di lavoro a tempo indeterminato in data successiva al 7 marzo 2015.
Come noto l’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 23/2015 recita che: “le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”.

Il riferimento è, chiaramente, alle conversioni c.d. “volontarie” di contratti di lavoro a tempo determinato (ossia: disposte di comune accordo tra le parti), nulla dicendo la norma di legge sulle conversioni c.d. “ giudiziali “.
E proprio su quest’ultimo punto è intervenuto il Supremo Collegio, il quale ha escluso l’assoggettabilità al “Jobs Act” di quei rapporti di lavoro a tempo indeterminato scaturiti da contratti di lavoro a termine giudizialmente convertiti, “per nullità del termine” stesso, in data successiva al 7 marzo 2015.

Del resto, il fatto che una sentenza di conversione possa essere stata resa in data antecedente o successiva al 7 marzo 2015 costituisce un mero “accidente” indipendente dalla volontà del lavoratore: di modo che condizionare l’applicabilità del “Jobs Act” al tempo della decisione comporterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori rientranti nella medesima condizione.

Il discorso cambia, invece, per quelle ipotesi di “conversione volontaria (id est: trasformazione, ma il termine ‘conversione’ è impiegato anche in riferimento al contratto nullo: art. 1424 c.c.), per effetto di una manifestazione di volontà delle parti successiva all’entrata in vigore del decreto, con effetto novativo”, rispetto alle quali la “conversione” avviene per volontà delle parti e, come detto supra, ricade pertanto nell’ambito di applicazione del “Jobs Act“.

Ricadono, parimenti, nell’ambito di applicazione del “Jobs Act” – ed è forse questa la parte più interessante della sentenza in commento – anche quelle ipotesi sì di conversione giudiziale, ma per motivo diverso dalla nullità del termine.

Il riferimento è, segnatamente, alle ipotesi:
I.di “continuazione del rapporto di lavoro oltre trenta giorni (in caso di contratto a termine di durata inferiore a sei mesi) ovvero oltre cinquanta giorni (in caso di contratto a termine di durata superiore a sei mesi) … qualora la scadenza sia successiva al 7 marzo 2015 (da essa considerandosi ‘il contratto … a tempo indeterminato’)”;

II.di “riassunzione entro dieci giorni dalla scadenza del primo contratto a termine (qualora di durata inferiore a sei mesi) ovvero entro venti giorni (in caso di contratto a termine di durata superiore a sei mesi) … qualora il secondo contratto (che ‘si considera a tempo indeterminato’) sia stato stipulato dopo il 7 marzo 2015″;

III.di superamento del termine “per effetto di una successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti … qualora detto superamento sia successivo al 7 marzo 2015”.

Nel caso di specie, però, la fattispecie invocata in giudizio era quella della nullità del termine; nullità che, “accertata con sentenza 5 maggio 2016 della Corte d’appello di Roma, si configura come un patto modificativo (avente ad oggetto la clausola relativa al termine finale) di un rapporto di lavoro già instaurato e convertito prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 23/2015 [n.d.r.: 27 novembre 1999], con la conseguente inapplicabilità del suo regime di tutela”.

 

L’articolo è disponibile anche in formato PDF a questo link.