C'era una volta il contratto a progetto...

Limiti dell’inquadramento dell’amministratore delegato come collaboratore a progetto

Limiti dell’inquadramento dell’amministratore delegato come collaboratore a progetto

Con sentenza n. 27336 del 24 ottobre 2019, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata su un interessante caso di applicazione del (fu) contratto di lavoro a progetto con riguardo a soggetti destinati a ricoprire cariche amministrative all’interno di società di capitali.

Nella fattispecie concreta esaminata dai Giudici di legittimità, va precisato, il contratto di collaborazione a progetto era ancora stipulabile e vigeva, ratione temporis, l’esclusione dei “componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società” (così, art. 61, co. 3, d.lgs. n. 276/2003) dal novero di soggetti che potevano rivendicare, in caso di illegittimità del contratto, l’applicazione delle tutele tipiche del lavoro subordinato (cfr. art. 69 d.lgs. n. 276/2003).

In considerazione di tale esclusione, una Holding ricorreva alla formula del contratto a progetto per ingaggiare un soggetto che avrebbe dovuto ricoprire la carica di amministratore delegato. Sennonché, tale contratto veniva ritenuto dalla Suprema Corte – diversamente da quanto avvenuto nei precedenti gradi di merito – come non genuino e, quindi, illegittimo.

Questo, in estrema sintesi, il ragionamento alla base di tale statuizione: posto che la ratio dell’esonero dei componenti degli organi di amministrazione dall’applicazione delle tutele proprie del lavoro subordinato “va ravvisata nella peculiare natura del rapporto che lega la società al suo amministratore” e considerato che “solo l’univocità degli interessi perseguiti nello svolgimento di un’attività gestoria in favore della società e dell’attività di collaborazione con la società stessa … preclude la convertibilità del rapporto”, nel caso di specie il collaboratore “non aveva nei riguardi della Holding alcun rapporto di amministrazione o controllo”.

In altre parole, i Giudici di legittimità ritenevano che, nel caso di specie, difettasse la condicio sine qua non per ritenere che il contratto a progetto in esame fosse stipulato in ossequio alle (allora) vigenti disposizioni di legge e, cioè, la condicio costituita dal requisito oggettivo dello svolgimento di un’attività gestoria in senso tale.

Da qui, in conclusione, la rivisitazione nel merito del rapporto effettivamente intercorso tra la Holding ed il collaboratore da parte della Corte di Appello territoriale individuata come competente dai Giudici di legittimità.