Sanzioni conservative

...e divieto di applicazione analogica

Sul divieto di applicazione analogica delle sanzioni conservative

Con sentenza n. 14500 del 28 maggio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “non può dirsi consentito al giudice, in presenza di una condotta accertata che non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari come punibili con sanzione conservativa, applicare la tutela reintegratoria operando una estensione non consentita, per le ragioni suesposte, al caso non previsto sul presupposto del ritenuto pari disvalore disciplinare”.

Questo principio di diritto è stato enunciato in un caso in cui il fatto contestato aveva ad oggetto l’utilizzo, da parte di un lavoratore, di “espressioni di natura erotico-sessuale … per ben due volte … utilizzando anche i mezzi aziendali e … del tutto incurante di urtare la sensibilità e la sfera dei valori, in quanto persona ed in quanto donna, dell’unica collega di lavoro presente in quel momento con lui nell’ufficio comune”.

A propria difesa, il lavoratore deduceva che il fatto a lui contestato non integrava alcuna delle fattispecie punite con sanzione espulsivadovendo, per contro ed al più, ritenersi punibile solo con sanzione conservativa.

La tesi della Società, per come ricostruita dai Giudici di legittimità, era invece incentrata su ciò che “solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa, il licenziamento sarà … meritevole della tutela reintegratoria prevista dal comma 4 dell’art. 18 novellato”.

Ed è a tale tesi che la Corte territoriale aderiva, accertando – in riforma della pronuncia resa dal Giudice di prime cure – che “la vicenda, per la sua peculiarità, reiterazione ed unitarietà, per il tenore erotico-sessuale delle espressioni utilizzate, per il contestuale utilizzo dei mezzi aziendali, non si prest[a] ad essere segmentata ed incasellata in alcuna delle previsioni per le quali l’art. 39 C.C.N.L. di settore prevede mere sanzioni conservative”.

Tale accertamento è stato, infine, condiviso anche dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale non ha peraltro mancato di richiamare il proprio precedente costituito dalla sentenza n. 12365 del 9 maggio 2019.

Con tale sentenza, infatti, era già stato rilevato che i comportamenti articolati, complessi e, dunque, qualitativamente differenti dal comportamento specificamente contemplato dalla contrattazione collettiva come punibile in via conservativa, non soggiacciono alla medesima sanzione.

A ben vedere, ciò che si ricava dalle suddette sentenze è che la libera interpretazione della scala valoriale utilizzata sovente per riempire di contenuto l’art. 2119 Cod. Civ. trova il suo limite invalicabile in quei “determinati comportamenti” per cui la contrattazione collettiva prevede, tassativamente, l’applicazione di una sanzione conservativa.

Ed è proprio l’elencazione tassativa di siffatti comportamenti ed ipotesi ad escludere qualsiasi loro “applicazione analogica” ex art. 1362 Cod. Civ. rispetto ad altre fattispecie, fermo restando che una siffatta interpretazione è, comunque, esclusa dal non costituire il contratto collettivo una “fonte di legge” (con conseguente inapplicabilità dell’art. 12 Disp. Prel. Cod. Civ.).